Il tour dei 4 mari.

Diario di viaggio delle vacanze 2014.
Cose che ho visto, cose che avrei voluto vedere e cose che non avrei voluto vedere. Posti dove tornerei e posti che nemmeno a pagamento.

Avevamo progettato una vacanza low cost. Campeggio itinerante fuori dalle aree delle masse vacanziere, alla ricerca del sole in questa estate 2014 in cui in tutta Italia è stato autunno, però dormendo in luoghi freschi. Che toccasse zone di falesie ma anche bei posti di mare.
Insomma capra e cavoli, tutto e niente, le nozze con i fichi. Con pochi soldi da spendere e una macchina con 400.000 km sulle ruote carica di cose.
Alla fine saranno 3.800 km e circa 1000 euro di spesa (500 a testa) tutto incluso per 18 giorni. Ci possiamo stare.
La tenda grande, la cucina, sedie e tavolini per stare comodi e soprattutto il frigorifero portatile.
Due ore per montare e due ore per smontare il tutto. Necessità di corrente e quindi niente campeggio libero

Insomma una cosa complicata. Abbiamo anche una tenda piccola, di quelle “2 secondi” per eventuali soste di una notte. Ma l’abbiamo utilizzata una volta sola.

Alla fine il risultato dei nostri campi era una cosa così:

L’8 agosto partiamo per il Molise. L’idea è montare la tenda nell’agricamping “Parco Abete Bianco” e scalare nelle falesie dei dintorni.

Ho preparato una mappa interattiva con tutte le falesie che sono riuscito a censire dal centro italia in giù. Ho le guide e la documentazione cartacea. Ho anche un computer portatile dietro per aggiornamenti in tempo reale, ma … ha ormai i suoi bei dieci anni, a casa funzionava e appena lo attacco in tenda non vuole saperne. Un bel peso inutile da portarsi dietro.
Poi dopo, a casa, al momento di “ora attacco la spina e se non ti accendi ti butto” riparte come se niente fosse.

la logica è quella di aver cercato di prevedere tutto ciò che fosse prevedibile in un ampio ventaglio di scelte possibili, lasciando perciò ampio spazio per l’improvvisazione giorno per giorno, anzi ora per ora, in un itinerario vagamente fissato. Lontano dalle spiagge incasinate, dal caldo del mare, dalle animazioni e dalle discoteche, al fresco se possibile, relativamente vicino a falesie, mare e/o laghi.

Il Parco Abete Bianco è in un posto bellissimo. Immerso in una conca erbosa circondata da boschi che sembrano senza limiti. I ragazzi che lo gestiscono gentili e simpatici.

Il paese, Pescopennataro, è tranquillo. Subito dopo aver montato la tenda facciamo un giro alle pareti di arrampicata alcune delle quali sono in mezzo alle case del paese.

Scopriamo che la guida del Molise è, per questa falesia, piuttosto approssimativa e incompleta. Capire la posizione delle vie presenti nella guida non sarà facile. I gradi sembra siano stati rivisti. E poi ci sono molte altre vie presenti che proveremo a salire senza saperne nulla, né prima né dopo.
Il tratto comune è che sono al sole dalla tarda mattinata e che fa veramente caldo. Facciamo quelle in ombra ma sono poche. Una molto facile sul piazzale, una corta poco distante all’ombra di un guerriero, molto intensa, sul 6a+ credo e una fessura sulla parete davanti al piazzale in basso, che la guida indica come 6a e che trovo di un’arrampicata brutta e impegnativa.


Il giorno dopo scendiamo più in basso, in una zona della falesia di cui la guida non fa menzione dove ci sono diverse vie (e con notevole potenzialità di future aperture) e prima che venga il sole facciamo un paio di giri su “pietra sannita” e una via accanto più facile. A me sono piaciute, ma non saprei indicarne la difficoltà.

Quella che segue un caminazzo verticale direi sul 5c-6a e “pietra sannita” almeno 6b+/6c ma mi rendo conto che è inutile parlare di gradi in un viaggio dove troverò chiodature e valutazioni estemporanee, vie sporche e invase da cespugli, licheni e rovi. Dove magari appigli e appoggi delle valutazioni originarie sono state riempiti da terra e coperte da erba.

Entro in modalità: si prende quello che c’è. Quindi basta pensare e quindi parlare di gradi o differenti valutazioni.
Anche se a volte, al dovuto ringraziamento di default verso chi chioda, si accompagna la domanda: ma c’era proprio bisogno di fare la “pisciatina” su questa parete? In considerazione di quella ossessione compulsiva di molti chiodatori di andare a bucare la roccia, come a lasciare il segno del proprio passaggio, in “opere” francamente inutili e/o discutibili.
Ma tant’è. Non si può pretendere che un trapano in mano faccia diventare artisti o intelligenti.

Tornando a Pescopennataro, così com’è come falesia non consiglierei il viaggio, tenendo conto del ben di dio poco distante. Però ha grandi potenzialità e se al paese vorranno, potrebbe diventare un ulteriore polo arrampicatorio nella zona. In questo caso il Parco Abete Bianco sarà un valore aggiunto per mettere la tenda e per mangiare. Si sta veramente bene.

Un altra falesia che volevamo vedere è quella di Capracotta: Pescobertino.
Seguendo le indicazioni della guida ho quasi azzeccato il sentiero. Trascurando la via più lunga e definita più bella, ho cercato quella più breve. Ho parcheggiato la macchina (come scoprirò al ritorno) in pratica all’attacco del sentiero, ma l’ho scambiato per l’accesso a un campo coltivato. E così ci siamo fatti 40 minuti di ravanata nell’erba alta e bagnata e nel sottobosco di ortiche e zanzare. In pratica parallelamente al vero sentiero.

Usciti sulla mulattiera sentiamo un rumore di auto. Mi prende lo sconforto: cazzo… dopo questa ravanata ci si arrivava in macchina?
No, era una famigliola col fuoristrada. Moglie e figli scendevano davanti alla macchina indicando al marito alla guida sassi e buche più impegnative, fustigandosi a mo’ di flagellanti con dei rami frondosi.
Anche il marito dentro, fra una sgassata e l’altra, si fustigava alacremente.

Le mosche.
Migliaia di mosche.
Quelle grosse, insistenti, che tormentano i cavalli e pungono, se, rassegnato, te le lasci passeggiare addosso.
Migliaia di mosche sul cofano e sugli sportelli della macchina. E attorno ai fuoristradisti che scappavano verso casa.

Il fremito di soddisfazione che mi gratificava a vederli scappare (odio fuoristradisti, quaddisti, motocrossisti e gli auguro ogni male) veniva immediatamente dimenticato quando centinaia di quelle migliaia si trasferivano attorno a noi, obbligandoci ai medesimi movimenti fustigatori con rami di nocciolo.

Per tutta la salita, sotto al sole, sudando nell’umidità tropicale, sarà così. Nonostante il liquido repellente di cui ci siamo cosparsi.
Alla fine troviamo la falesia.

Ci sono un paio di vie lichenosissime.

E poi una parete liscissima, sporca, salibile solo dove ci sono delle fessure le quali sono piene di terra e di rovi (lamponi).
Questa per esempio sarebbe la più facile (un 6b).

ma giuro che per me così com’è potrebbe anche essere 9d. Non ho trovato un appiglio, in quella fessura e la parete era viscida e polverosa.
Infatti mi sono calato su una maglia rapida, che poi ho recuperato salendo da una cengia e calandomi.
Sopra la cengia ci sono vie più facili, ma francamente non mi è parso valesse la pena.

Giudizio sulla falesia: non ci torno nemmeno se mi pagano. Il posto è carino, con una bella vista sulle Mainarde, ma le vie non mi sembra che valgano i soldi spesi in fix. Perlomeno nelle condizioni in cui è la falesia… magari se fosse più frequentata… ma permettetemi di dubitare.

Il giorno dopo pensiamo di andare al Lago di Bomba e poi al vicino paese di Pennadomo.
Delusione: il lago è bello solo da lontano.
Come tutti i laghi artificiali d’estate il bacino si abbassa di livello e le rive diventano una distesa di fango secco.
L’acqua è opaca. Non invita a fare il bagno.
Fa un caldo bestia e c’è un umidità che si taglia con il coltello.

Ci sdraiamo sotto una pianta per passare le ore più calde, poi andiamo a Pennadomo.

Inizio ad avere dei dubbi sul navigatore Waze (gratuito) sul cellulare di Manu. Infatti avevo visto sulla carta che esistevano altre strade ma seguiamo i consigli del navigatore e ci mettiamo una vita e mezza.
Arriviamo che fa ancora caldo però e scopro che ovviamente Pennadomo è in Abruzzo e quindi non è sulla guida del Molise e che la guida dell’Abruzzo l’ho lasciata a casa.

Facciamo un giro sotto al sole in paese e rinunciamo a scalare. Andiamo a fare un giro all’ombra in un canyon, ma di vie chiodate nemmeno l’ombra (appunto).

Il luogo, ma non lo scopriamo noi, è veramente suggestivo. Molto particolare.
Pennadomo non è il solo paese dei dintorni che si appoggia a queste lame di roccia.

Il giorno dopo andiamo al mare, vicino Vasto, nella riserva naturale di Punta D’Erce.

Si traversa la zona industriale di Vasto, si prende una sterrata con divieto di sosta dove tutti parcheggiano, in mezzo a campi di girasole siccitosi e si scende alla spiaggia.
Se non fosse per le gru del porto, in lontananza sulla destra, sarebbe un bel posto qualora non ci fosse la gente che c’era.
Ce ne andiamo ai margini della spiaggia, vicino agli scogli.

senonché immediatamente scopriamo che quella specie di arco che si vede nell’immagine sopra è meta dei pellegrinaggi di tutta la spiaggia per farsi delle foto suggestive(?).
Un viavai continuo di gente che nei cinque minuti che sono stato sdraiato mi ha scavalcato due volte.

Prendiamo su tutto e ci spostiamo, camminando in acqua fino a una caletta.

Qui non è che manchino i rompicoglioni di passaggio, ma non c’è proprio posto per sistemarsi, oltre quello occupato da noi quindi transitano in acqua e basta, proferendo fra un respiro e l’altro un campionario di fesserie varie che ogni tanto ci fanno sorridere e rinforzare nella nostra acuta sociopatia vacanzieria.

C’è da dire però che la sensazione di avere quel conglomerato pendente sulla testa non è piacevole.
Specie dopo aver provato a risalire una parte strapiombante sull’acqua in un goffo tentativo di DWS ed essere caduto al terzo movimento con tutta la presa in mano.
Ogni tanto viene giù dalle pareti un po’ di sabbietta e i grossi pezzi di scogliera a terra testimoniano frequenti distacchi. Fatto sta che preferisco una scomoda posizione sugli scogli piuttosto che quella sulla morbida sabbia ma sotto la parete.

Insomma: niente di che.
Arrivando lì abbiamo fatto una trentina di km di costa. Tutta costruita, brutta, piena di gente dove accessibile in macchina.
Sarà anche piacevole, ma non d’agosto, come molte altre parti d’Italia.
Una giornata così così.
Di ritorno il navigatore prova a farci prendere una strada nel bosco che dopo i primi km andava riducendosi a sentiero. Riesco a tornare indietro prima che sia troppo tardi. Inizio a diffidare pesantemente dell’applicazione e a insultare ripetutamente la voce meccanica che da indicazioni.

Il giorno dopo partiamo per la seconda tappa del giro: la Basilicata della Val D’agri con le sue falesie.

Bilancio della prima tappa:
positivo: il Parco Abete Bianco per ambiente, cibo e servizi, i boschi e il paesaggio attorno, il paese di Pescopennataro.
negativo: il lago di Bomba, il navigatore di Manu, la falesia di Pescobertino.
neutro: il mare di Vasto.

Da Pescopennataro andiamo per Venafro e prima di arrivarci giù per Caianello, e poi autostrada fino a Atena Lucana.

Avevo individuato un agricamping in zona strategica: http://www.agriturismoparcoverde.it/
A breve distanza ci sono le falesie di:
Atena Lucana 42 km esposizione sud-sud ovest (invernale)
Pietra Maura 33 km 1000 mt estiva
Monte Volturino 27 km 1000-1500 mt estiva
Viggiano 12 km 800 mt estiva
Bosco Favino – Castelsaraceno 26 km l Est – Sud Est Ombra tardo pomeriggio

E il mare di Scanzano Ionico a 84 km o di Sapri (o Policastro Bussentino) 72 km
E poi c’è il lago del Pertusillo vicino.

Insomma un posto dove restare qualche giorno per scalare e dedicare un giorno di riposo al mare o al lago.

Dopo l’esperienza del Lago di Bomba, però, chiediamo com’è il lago del Pertusillo.
Ci dicono che non è assolutamente balneabile.
Cazzo ci butteranno dentro? non lo so. Ma è una bella fregatura.
Il gestore dell’agriturismo ci dice i suoi orari: dalle 13 alle 15 siamo chiusi per pranzo.
Mecoioni, pensiamo. Ci sta il pranzo e una bella pennica…

Purtroppo la strada è lunga e quando sono le 12.30 ci rendiamo conto che arriveremo con un leggero ritardo sull’una.
Chiamiamo, avvertendo che ritarderemo 10 minuti circa.
Poi diventeranno 15 perché il navigatore ci farà bypassare una normalissima strada statale a favore di una rete complicatissima di stradine di campagna della larghezza di un auto (o di un trattore). I miei insulti cominciano a diventare feroci. Decido di non prendere più in considerazione i suggerimenti pazzoidi.

Nei giorni successivi arriverà a suggerire un percorso da Villa San Giovanni a Roma passando per Barletta. Roba da strangolare lentamente chi lo ha programmato.

Insomma il gestore ci dice che gli dispiace ma loro chiudono alle 13 ci dice di andarsi a fare una passeggiata fino alle 15 – 15,30.
Restiamo perplessi.
Non è che pretendessimo il tappeto rosso all’entrata e se c’è da rispettare il lavoro (e le pause) altrui, nonché eventuali ore di silenzio, saremmo stati disponibilissimi.
Ma almeno affacciati. Almeno dicci… che so… questo è il posto… fatevi un giro, scegliete dove mettere la tenda… prendete qualcosa di fresco… insomma un minimo di accoglienza.

Non so se avete presente la zona agricola di Grumento Nova il 12 agosto.
Io non ce l’avevo presente. C’erano 36 gradi e non si muoveva una foglia.
Abbiamo trovato un albero sotto cui parcheggiare. Vedevamo gli alberi dell’agriturismo a poca distanza. C’era della gente sotto e dei tavoli apparecchiati.
Come bambini poveri fuori dal ristorante guardavamo quelli che dentro.

Abbiamo mangiato qualcosa che avevamo in frigo, ci siamo sgranchiti e siamo ripartiti.
Aspettavamo che il signor ….. ci chiamasse, visto che avevamo prenotato, per farci delle rimostranze. E noi gli avremmo fatto le nostre. Ma lui non lo ha fatto e noi nemmeno.
Avrà avuto i suoi motivi per essere così poco ospitale e noi rinunciamo volentieri ai suoi servizi.

E così per una stradina provinciale, scelta da me sulla carta adesso, mentre il navigatore urlava con voce allarmata indicazioni contrarie, mi dirigo verso Lauria e Normanno. Sede della prossima tappa.

Le strade sono belle, da fare lentamente perché curvose, ma passano in mezzo a boschi bellissimi e traversano torrenti.
Ci addentriamo sempre di più nel sud, ma la natura è verde e rigogliosa.

Arriviamo all’agricampegio Oasi del Pollino. E’ vicino l’autostrada, in testa alla valle del fiume Lao.
Il posto ci piace. E’ una bella zona montagnosa.
Il giorno fa caldo, ma la sera è fresca, da dormire con il sacco a pelo.
La valle del Lao è un tripudio di verde e di roccia, con la strada sopra una gola profonda in cui scorrono le acque chiare del fiume, meta di un’intensa attività di rafting.

L’agricampeggio è carino, il titolare è gentile e disponibile. I servizi puliti.
Penso si mangiasse anche bene ma per esigenze di bilancio ci siamo sempre preparati da mangiare in tenda.
Abbiamo pagato circa 30 euro a notte (per due persone, tenda grande e corrente)

La solita tenda allestita di tutto punto e il paese di Papasidero la sera, dal punto panoramico di una pizzeria (l’unica) i cui titolari erano gentilissimi ma le cui pizze lasciavano molto, ma molto, a desiderare.
Il paese è da cartolina, ma si capisce che se in questo periodo ferragostano ci transitano cento persone in più il sistema della viabilità rischia severe crisi.
Ci sono un paio di negozi lungo la strada, un bar, una piccola farmacia. Trovare parcheggio è difficile senza bloccare il traffico.
La maggior parte degli automobilisti non si pongono il problema, però. E così, i una direzione o nell’altra, prima riesci a passarlo meglio è.

Il fiume Lao, dal ponte di Papasidero.

La strada per la falesia di Orsomarso è bella, ma lunga.
Conoscevo già la zona perché c’eravamo stati pochi mesi prima a scalare, quindi mi sono orientato bene nelle stradine vicino Orsomarso, ignorando le sconcertanti elucubrazioni del navigatore.
Abbiamo evitato Scalea, la cui spiaggia di ciotoli non ci era piaciuta e il tratto che dicono bellissimo dell’Arcomagno verso San Nicola Arcella, dopo Praia a Mare. Iniziavamo ad imparare che dove “dicono bellissimo” ad agosto è meglio rinunciare, perché ci vanno tutti, in fila, fosse solo per farsi il selfie.

A Orsomarso le zone dove si scala sono tre (che io sappia), c’è il sito dell’associazione VLC che riporta tutte le informazioni.

Personalmente posso dire che la falesia sul fiume Argentino è in un posto molto bello e fresco, ma la roccia è sporca e lichenosa, che il settore Cuba è impraticabile d’estate per l’esposizione assolata e che Mercuri è quella che preferisco.
L’esposizione, in questo periodo, fa prendere un po’ sole al mattino al settore basso “Chiesa” e verso il tardo pomeriggio a quello alto delle “Placche”. In ogni caso la sicura è sempre all’ombra del bosco.
La roccia è molto bella, le vie anche.
Nel settore della “Grotta” non ho scalato. Le vie mi sembravano sporche e poco invitanti, anche se particolari.


Falesia di Mercuri, settore Placche, via Au coucher du soleil 6b

Da Orsomarso basta andare per alcuni km sulla costa e si trovano, nonostante sia anche lì tutto costruito, qualche spiaggia abbastanza tranquilla come questa:

A Santa Maria del Cedro, verso Cirella.

Il giorno dopo siamo andati alla falesia di Viggianello, che poi in realtà sono tre falesie, una delle quali, quella di Santa Rosalia, di una roccia strana che non ho capito cosa sia. Sembra un conglomerato tagliato.

Le indicazioni per arrivare alla falesia sono molto chiare. E’ in ombra fino all’ora di pranzo, più o meno. Per chi ama le placche è un’occasione golosa per una scalata diversa. Avvicinamento zero.
Sui gradi non ci ho capito niente. Per dire: ho fatto un 5c (fungo magico) come prima via e il grado mi sembrava giusto, anche un po’ facile, se l’avessero data 5b non mi sarebbe parso strano.
Poi volevo fare il 6c ma proprio a guardare la parete non riuscivo a capire nemmeno come si partisse. Allora ho deciso di mettere su la corda passando da un 5a vicino (vidi anello). Beh per me questo 5a era molto più duro del 5c. Se non avessi saputo il grado gli avrei dato 6a. Anche altre vie erano così. Ho pensato di essermi sbagliato, ho controllato la guida e le vie una per una. Corrispondeva tutto.
E quindi… boh? Non lo dico per polemica ma solo perché non ci ho capito niente.

Arrivare alle altre due falesie non è proprio facile. Le indicazioni sul sito traggono in inganno. Ma non le so spiegare meglio e google maps non mi aiuta.
Comunque dopo essere andati qualche km più avanti ho intuito che la falesia “Pietrelisce” dovesse essere nelle vicinanze della frazione di case detta “Pietreliscie” che avevo visto passando e la cosa si è fatta più facile…

Abbiamo parcheggiato e chiacchierato con un’anziana coppia di coniugi che vive nelle casette dove inizia il sentiero che in pochi minuti porta alle pareti.
Siamo andati al settore “la Grotta” dato che i gradi del settore “pietreliscie” non ci sembravano molto invitanti e di placche ne avevo avuto abbastanza la mattina.

Qui non è stato facile capire quale via corrispondesse ai nomi e i gradi sulla guida. Anche perché chi ha fatto il disegno nel sito ha pensato bene di non menzionare le zone di parete in cui non si scala e in questo modo le vie sembrano più o meno tutte vicine. Così non è.
C’è un primo gruppo di 4, poi una 15ina di metri di parete vuota, poi altre 2, poi la grotta in cui non c’è niente, poi altre vie (5) e quindi la parete cambia esposizione e ci sono 4 vie molto cespugliose.
La numerazione è al contrario dell’ordine in cui le vie si incontrano venendo dal sentiero. Ovvero l’ultima sulla guida del sito è la prima che s’incontra.
Ho fatto un giro su un 5c, “grattuculo” e mi è piaciuta moltissimo. Per me uno dei più bei 5c che abbia mai fatto.
Poi qualche giro su un 6c e un 6c+ (BRAILLE e CARNILIVARU I PAGGHIA) dove non esito a dichiarare di non averci capito niente. Il muretto finale di Braille da un senso al nome della via, e il passo dove bisogna raccogliersi prima dello strapiombo della seconda via mi è parso durissimo.
Ma io non mi tengo un cazzo, specie questo periodo, quindi sarà colpa mia …
la roccia però mi è piaciuta.
E’ una falesia che merita una visita. Altre vie mi sarebbe piaciuto provarle.

Ma le strade, anche se sulla carta sembrano brevi, in realtà sono lunghe, lente, curvose. Google maps dava una mezzora, ma in realtà ci abbiamo messo molto di più.
Ho dato ancora retta al navigatore e mi sono ritrovato in una stradina pazzesca.
Manu è perplessa. Ma le sto dimostrando che la sua fidata voce amica è una perversa maniaca della viabilità impraticabile, probabilmente sul libro paga di una multinazionale del soccorso stradale.
Prima o poi se ne convincerà.

La sera del 14 festeggiamo con un tortino di riso e filetti di pesce fritto. Anche in tenda si può…

Il giorno dopo è ferragosto e decidiamo di andare al mare, sullo Ionio, toccando così il terzo dei quattro mari previsti.
Via sull’autostrada per qualche km, usciamo a Frascineto e prendiamo un’ottima strada verso Villapiana.

Sono curioso di vedere le pareti di Ejanina dove ci sono diverse vie ma che essendo esposte al sole non è il caso di vedere più da vicino e magari metterci le mani sopra.

Questa è solo una frazione della parete che è sopra il paese.
La cartellonistica bilingue mi fa capire che siamo in un enclave albanese. Basta un giro con google per averne conferma. E allora capisco anche qualche stranezza nell’architettura delle chiese o dei cimiteri in zona, dev’essere il rito ortodosso.
Non che mi interessi granchè: avevo solo notato una nota di diversità.

Le pareti in effetti sono al sole ma veramente c’è ancora tanta potenzialità.
Poi appena dietro il paese, rimango senza fiato.
Ci sono le Gole del Raganello: un canyon incredibile con una parete enorme di un calcare che sembra ottimo.

Dalla strada verso Villapiana scattiamo questa foto:

si vedono delle case sulla sinistra.
Al ritorno andiamo a vedere questo paese, Civita, e scattiamo questa foto di quelle case più da vicino, con lo sfondo della parete.

Il canyon sembra enorme e molto lungo. La parete è impressionante. Sopra il paese sull’altro lato ci sono altre pareti. E’ un tripudio di roccia e di sole, in questo pomeriggio di ferragosto.

Pensiamo che questo posto avrebbe le potenzialità per diventare un centro internazionale di arrampicata. Con gli splendidi boschi del Pollino a un passo e il mare a venti minuti.

Ma è la sensazione dominante del giro che abbiamo fatto: quella di quanto sia bello questo paese, in cui in poche curve di strada cambiano completamente i paesaggi, di quanto sia verde e ricco di foreste e scorci incredibili. Paesi quasi sconosciuti che sono gioielli e ovunque, ovunque, arte e storia e testimonianze di culture diverse.

E non parlo di quella valorizzazione che spesso deturpa e porta masse di gente che vogliono solo le comodità, ma di un turismo rispettoso e dolce, che si integra in qualche modo con i luoghi che visita, apportando benefici all’economia del luogo ma senza stravolgerla.

Ma abbiamo visto tanti posti dove si capisce che non c’è niente, e che per due mesi l’anno ognuno cerca di partecipare alla macchina mangiasoldi di quel turismo che rade al suolo, distrugge, modifica il territorio definitivamente.

Così come ci sono quelli che vedono un bel bosco, una bella radura, ci vanno a fare un picnic e ci lasciano la loro immondizia. E sono gli stessi che poi si lamentano se altrove trovano sporco. E con lo stesso meccanismo, su scala più ampia, il turismo di massa e la sua industria stravolge i luoghi che tocca, gli toglie bellezza e magia, li omologa in un tutto sempre uguale, cambiando solo quasi inavvertitamente gli scenari.

Arriviamo a Villapiana percorrendo la valle che è una fiumara di ghiaia, segno di piene di incontrollata potenza che scendono dal massiccio del Pollino e scavano le morbide colline della zona che sembrano fatte di sabbia, creando scenari fantastici.



Non c’è molta gente in giro. Pochi esercizi commerciali aperti.
Percorriamo il lungomare verso sud cercando una stradina che ci porti verso la spiaggia dove non ci siano case o stabilimenti a qualche metro, ma il primo tentativo è infruttuoso: accesso riservato ai residenti di un resort cinque stelle o ai campeggiatori di un camping.
Torniamo indietro e quando vediamo oltre le case una pineta, verso il mare e gente che viene con roba da mare in mano, parcheggiamo e proviamo a fare la stradina da cui vengono loro verso dove dovrebbe esserci il mare.

La zona, fatta di villette residenziali, sembra quasi deserta.
La stradina è un passaggio pedonale sotto la ferrovia in cui tocca chinarsi per passare.

Dopo si apre un boschetto di eucalipti e poi una pineta.

Rimaniamo malissimo quando ci rendiamo conto che dove porta la stradina si arrivava anche in macchina.
Ecco dove erano tutti quanti!!
Alla fine della stradina c’è un largo spiazzo dove parcheggiano centinaia di macchine, e migliaia di persone accalcano ombrelloni e sdraio di uno stabilmento dal quale proviene una musica continua, pulsante, riconoscibile solo a tratti, con il ritmo dei bassi ossessivo a dominare.
L’immagine è potente, la musica evoca un rito ancestrale. Una massa di gente che sembra carne brulicante celebra fremente l’attesa di uno dei riti più potenti, quello del pranzo di ferragosto.

Nell’area dello stabilmento, aguzzando la vista sui particolari, si notano quelli che giocano a beach volley, a racchettoni, a bigliardino, oltre quelli che si muovono negli angusti corridoi fra i corpi sdraiati.
Di lato sotto la pineta, bruciano barbecue, si allestiscono tavolate, si stendono amache, battono il tempo casse di stereo dalle macchine o portatili, in una cacofonia di suoni indistinguibile che diventa rumore di fondo ad alta intensità e null’altro.

Ci guardiamo inorriditi e stiamo per tornare indietro. Poi mi viene in mente di guardare dall’altra parte. Facciamo poche decine di metri e davanti a noi si apre una spiaggia semideserta.

Basta allontanarsi di duecento metri dallo stabilmento e gli ombrelloni più vicini sono a 30 metri da noi.
E’ incredibile la tendenza umana ad ammucchiarsi gli uni sugli altri.
Ma perché?

Egoisticamente però non posso non pensare che per quanto non la capisca, alla fin fine questa pulsione degli altri al branco in fondo consente ia noi di trovare spazi semivuoti e goderseli. E così sia.

Ad un certo punto notiamo che lo stabilmento è diventato deserto. Le sdraio vuote sotto gli ombrelloni aperti.
Sono tutti impegnati in un pranzo che durerà a lungo. Un orgasmo di tagliatelle, parmigiane, salsicce, cocomeri…

Anche la musica non la sentiamo più, per via di un vento crescente che soffia in direzione contraria.

E soffia fino a darci fastidio per cui ad un certo punto decidiamo di andar via.

Sotto la pineta infuria la battaglia dei gavettoni. Passiamo al largo per non essere coinvolti.
Mi rimane l’immagine di uno che dormiva su un’amaca, con l’espressione di un pitone che digerisce un vitello, le cui forme sono evidenti nell’addome, al quale rovesciano addosso una tanica d’acqua, immagino bella fresca.
Distolgo lo sguardo in modo da non sentirmi emotivamente coinvolto nel dramma della probabile congestione.

I gigli di mare (Pancratium maritimum) rappresentano bene questa spiaggia bellissima profonda decine di metri, con una bella pineta e gli eucalipti dietro, dove è vietato arrivare in macchina ma tutti ci vanno ugualmente, lasciando buste di plastica, bottiglie vuote e cocci di vetro, rifiuti e residui di falò in cui spiccano gli scheletri di sdraio o biciclette o passeggini…

La rappresentano perché in tante zone d’italia, purtroppo, bisogna cercare la bellezza concentrandosi su di essa e distogliendo lo sguardo dagli orrori tutto intorno.

Intanto mi sono quasi bruciato pur restando sempre sotto l’ombrellone. Sarà stato il riflesso?

Bilancio della seconda tappa:
positivo: L’agricamping Oasi del Pollino per la gentilezza del gestore, la pulizia dei servizi, la location. La valle del fiume Lao. La falesia di Orsomarso. I boschi del Pollino. Le gole del Raganello. La parete di Ejanina (peccato fosse troppo caldo per scalarci). Il mare di Villapiana.
negativo: il lungomare da Scalea a Cirella: devastato.
neutro: le falesie di Viggianello, forse perché ci avevano descritto la zona delle sorgenti del Mercure come molto selvaggia e impervia e dopo averla vista me ne sfugge il motivo.

Il giorno dopo smontiamo tutto e partiamo destinazione Aspromonte. Abbiamo deciso di saltare la tappa della Sila, sul lago D’Arvo, dove avevo trovato quello che sembrava un bel posto tranquillo (www.campinglagoarvo.it) ma le temperature si sono abbassate e pensiamo che a 1300 metri, in una zona boscosa, la sera faccia troppo fresco. Inoltre non ci sono falesie in zona. In realtà doveva essere la terza tappa dopo quella in Basilicata, ma avendo saltato questa e ripiegato su Mormanno ora non vale la pena di spostarci per soli 150 km.

L’idea è quella di campeggiare in Aspromonte, vicino le Torri di Canolo. Scalare qui e scendere al mare verso Locri. Magari unirci un trekking verso Pietra Cappa un luogo che mi affascina e mi piacerebbe visitare.

Dall’autostrada usciamo a Taurianova per Cittanova in direzione di Canolo Nuova. Belli gli ulivi secolari che si incontrano lungo la strada. Peraltro gli ulivi per facilitare la raccolta li potano, tenendoli bassi. Questi invece sono alti, alberi imponenti e frondosi. Non li avevo mai visti così e mi chiedo come facciano a raccogliere le olive così in alto.

Mi spiegheranno poi che una volta le olive non venivano fatte cadere ma si aspettava che cadessero da sole. L’olio che se ne ricavava però era molto acido e questo metodo di raccolta non si usa più. Ora questi alberi sono rimasti come sorta di testimonianza o monumento.
E l’ulivo è veramente un bellissimo albero. (immagine presa in prestito da http://www.famedisud.it

La strada per Canolo Nuova è bella. Un po’ tortuosa ma sale erte ripide e boscose, in cui è bello andare piano per lasciare andare lo sguardo.

Quando arriviamo in zona troviamo boschi a perdita d’occhio, ma nemmeno l’ombra di un campeggio.

Giriamo in lungo e in largo, ci affacciamo sull’altro versante, vediamo la zona delle Torri di Canolo e il mare:
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nessun problema per mettere la tenda ovunque. E’ una zona che si presta al campeggio libero, ma noi volevamo avere energia elettrica e servizi.

Avevo previsto un’alternativa poco distante, un ostello dove si può anche campeggiare e ci andiamo:
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ma nonostante il cartello indichi allegramente “aperto tutto l’anno” il posto è inesorabilmente e inequivocabilmente chiuso. Ecco perché non rispondevano al telefono.

Che fare?
Non ci va di fermarci quassù per la notte. C’è vento e sicuramente farà freddo. C’è già poca gente in giro di giorno, figuriamoci quando sarà buio. Poi abbiamo bisogno di energia elettrica per il frigo. Può andare con la batteria dell’auto solo finché questa è in moto, non certo per tutta la notte.

Scendiamo verso la costa. Abbiamo qualche numero di camping. Proviamo a chiamare ma nessuno risponde.
Per essere il 16 agosto non c’è nessuno in giro e i negozi sono chiusi. Strano per delle località balneari.
Attraversiamo Siderno e andiamo verso Locri.
Arriviamo al camping Helios e scopriamo che di esso è rimasto solo il cartello che lo indica. Nonché dei resti dei servizi igienici e un rubinetto che fornisce acqua.
Un gruppo nutrito di locali è accampato sotto la pineta, a cinquanta metri dal mare.

Il posto è molto bello. Decidiamo di restare per una notte, domani si vedrà.
Montiamo la tenda piccola e ci sistemiamo.
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La notte praticamente non si dorme. Il vento piuttosto forte e i rumori del giorno, non ci avevano fatto capire che eravamo a due passi dalla Statale e per tutta la notte sarà un via vai di macchine, moto e quant’altro. C’è più traffico di notte che di giorno, questo è sicuro.
Inoltre nella tenda piccola fa caldo: è una busta di nylon.

Quando vedo i primi chiarori esco dalla tenda e vado sulla spiaggia a fotografare l’alba. Il mare è immobile, i colori cambiano rapidamente.
Quasi sempre, nelle albe o nei tramonti che mi sono fermato a guardare mi accompagna la frase del faust di Goethe: dirò all’attimo: sei così bello, fermati!… e sempre ho provato quella sensazione di tempo che sfugge inesorabilmente, come sabbia fra le dita.
Il movimento del sole è avvertibile, si sporge e in un attimo è su, inondando la parte di mondo in cui sono di calda luce dorata.
Pochi minuti è la magia finisce. Un altro giorno è nato, portando in sé il suo carico ineludibile di vita.

Smontiamo e ci spostiamo verso nord, in direzione di Stilo. Dove c’è una falesia.
Troviamo un campeggio a Caulonia Marina ( hVillaggio Calypso ). E’ il tipo di campeggio che sulla carta avrei evitato senza nemmeno soffermarmici.
Uno di quelli con le tende, roulotte camper tutte assiepate, con l’animazione a far casino la notte.
Però in questo momento non abbiamo alternative più interessanti e decidiamo di fermarci un paio di giorni.

Invece il campeggio si rivelerà un ottimo posto. Gestito con pugno di ferro da un signore in camicia bianca e cappello di paglia ha servizi abbondanti e pulitissimi, l’area animazione è lontana e non invadente, il silenzio viene fatto rispettare, è abbondantemente ombreggiato da alti eucalipti, il mare è a due passi. Dicevano anche che il ristorante era buono, ma non so.
Unico neo è che sugli eucalipti nidifica qualche specie di uccello che ci riempie la tenda di guano. Ma non si può avere tutto dalla vita.

Il pomeriggio lo passiamo sulla spiaggia del camping, che tutto sommato non è male.
La sera, a cena a casa di Luigi, (ottimi gamberoni alla griglia!) ci suggeriscono la spiaggia del lungomare di Riace.
Le pareti di Stilo vanno in ombra nel pomeriggio.

La spiaggia di Riace è fantastica. Di sabbia bianca e pochi ciotoli dove battono le onde. Poche persone in vista, distanti centinaia di metri. Solo i gabbiani, che chissà perché hanno il loro approdo e se ne stanno tutti insieme, vicini.

Poca gente in giro. Pochi negozi. Il turismo sembra sia cosa (poca) che vive in qualche cittadina, come Roccella o Gioiosa.
Molte strutture abbandonate, scheletri di calcestruzzo in rovina.
Sembra che da queste parti del turismo tutto sommato non è che gliene freghi molto e a noi va bene così, in fondo.
Se così non fosse questa spiaggia potrebbe essere come quella di Scalea o di Cirella, o di altre migliaia di spiagge in tutta Italia. Cementificate, abbrutite dalle costruzioni, dai resort, dai villaggi, dai chioschi, dagli stabilimenti.

Invece una stradina su un prato incolto, con uno scolorito cartello vendesi, ci porta in questo angolo di mondo tranquillo.

Dopo pranzo andiamo a Stilo. Sono pochi km.

Seguo le indicazioni di Luigi, nume tutelare della falesia. Arrivati in paese prendere verso il cimitero, salire la stradina bianca che parte dal piazzale di questo. Al quinto tornante parcheggiare e prendere il sentiero che conduce alle pareti in pochi minuti.
Perfetto.
Senonché ci metto del mio e quando sono sul sentiero e vedo sopra a una cinquantina di metri le pareti, mentre il sentiero scende leggermente, penso di dover salire e anziché al settore Gaia arrivo a quello della Grotta, dove le vie sono molto più dure.
Non ho né guida né possibilità di scaricare file dalla rete, visto che non c’è campo.
Faccio su e giù sotto la parete ma non riesco a trovare evidenti vie facili.
Alla fine, seguendo l’impulso di Manu, attacco una via che almeno all’inizio sembra facile e sopra…. “beh sembra a presoni grandi…”
è un 8a…come sapremo successivamente. Fra montarla e smontarla ci staremo a combattere due ore.

Esausto torno al parcheggio e telefono a Luigi. E’ esterrefatto che io abbia sbagliato settore. In effetti seguendo il sentiero da lui indicato si arriva a sbattere alle pareti di Gaia. Erano poche decine di metri sotto dove eravamo.
In una falesia molto bella, Gaia è un settore magnifico. Immerso in un bosco di cipressi. Con roccia spettacolare.

Facciamo alcune vie e decidiamo che vale la pena di tornarci il giorno dopo.
E così ancora torniamo alla spiaggia di Riace, in un punto qualche centinaio di metri diverso da quello del giorno primo. Stesso scenario di spiaggia deserta. Solo che a momenti rimango bloccato con la macchina in una buca che non avevo visto. Ci ho lasciato mezza frizione per uscirne.

Discutiamo un po’ se continuare il viaggio verso la Sicilia o meno.
Da un lato mi va di andare. Sono stato da quelle parti 35 anni prima e un po’ di curiosità e nostalgia c’è. E poi la Sicilia è una terra affascinante.
Dall’altro sono preoccupato per la macchina che ha tutti quei km.
Se mi si rompe in Sicilia che faccio? C’è lo stretto di mezzo e ogni recupero diventa più costoso.
Manu invece vuole andare. Per lei la Sicilia era la vera meta del viaggio, queste in qualche modo erano solo tappe di avvicinamento.

Io mi ricordavo cose belle, ma anche no. Una terra di contraddizioni. Ero curioso ma avrei rinunciato. Inoltre ero convinto che non avremmo scalato, per quanto le falesie in zona siano tante.
E ora che avevo trovato Stilo, con le Torri di Canolo ad un passo, un pensierino a restare in zona lo facevo.

Ma è giusto anche inseguire i sogni, pur se a volte la loro sostanza è solo immaginazione. Andiamo in Sicilia.
Pomeriggio ancora a Stilo, dove scaliamo ancora a Gaia e poi in un altro settore: la città del sole.

Roccia spettacolare e vie di 35 metri.

E la trattoria “da Mario” in paese, è all’altezza della roccia, con i suoi antipasti e le sue pizze.

Bella Stilo. Da tornarci e da consigliare.

Il giorno dopo smontiamo e partiamo per la Sicilia.

Bilancio della terza tappa:
positivo: La falesia di Stilo, la spiaggia di Riace, i boschi dell’Aspromonte e anche il camping Calypso (100 euro tutto compreso 4 notti)
negativo: quello che non abbiamo fatto: le Torri di Canolo, il mare verso Bova, la Pietra Cappa…
neutro: la zona che sembra lasciata andare, con qualche vorrei ma non posso e faranoici tentativi abortiti di sviluppo… insomma non è il tranquillo villaggio di pescatori ignari del turismo… e nemmeno la riviera adriatica… è un posto di gente cui il turismo interessa poco con mare e montagna vicini e bellissimi. Ma la vita non è solo vacanza e forse anche se c’è questo manca molto altro. Forse però proprio per questo c’è ancora un po’ di spazio anche ad agosto.

Torniamo verso la salerno-reggio calabria. Compriamo il biglietto del traghetto all’agip di Rosarno e praticamente all’imbarco non troviamo fila. In una quarantina di minuti fra imbarco traversata e sbarco siamo nel traffico di Messina, dove il termometro della macchina segna 37.
Imbocchiamo l’autostrada e giù diretti verso Catania, poi Siracusa, quindi Noto.
Il primo camping che visitiamo è in quella zona. E’ un agricamping, anche questo un po’ nell’interno, dovrebbe essere ombreggiato. Il camping Da Vinci.
A metà strada fra Noto e Pachino, ci si arriva da una sterrata. L’ambiente è informale, anzi diciamo pure frikkettone. C’è un chiosco che manda musica e degli spazi comuni per cucinare. Poi tante tende sotto gli alberi di limone, aranci, mandorli. Giriamo un po’ ma non troviamo un posto adatto alla nostra tenda che ci garantisca ombra perlomeno al mattino e nel tardo pomeriggio sera. In più ci sembra, ma forse ci sbagliamo, che i servizi siano un po’ insufficienti al numero di ospiti. I ragazzi sono molto gentili ma dopo aver preso una birra ci spostiamo verso sud.

Arriviamo a Pachino, che è la capitale dei pomodori e quindi non propriamente un posto turistico. A Marzameni sembra che la vita sia regolata da una qualche manifestazione. Ci sono spazi enormi per parcheggiare e sensi unici: probabilmente siamo capitati in un periodo di concerti.

Sulla strada per Portopalo riconosco una caletta in cui misi la tenda nel 79. Ricordo la sorpresa quando mi tuffai in acqua, al mattino, e vidi per la prima volta i cavallucci marini. Oltre che stelle marine colorate, pesci che sembravano tropicali, sogliole e colori che avevo visto fino ad allora solo nei documentari.
Ora c’è un chiosco e un parcheggio, ombrelloni e sdraio. Non mi viene voglia di andare a vedere il mare, preferisco restare col ricordo.

A Portopalo la prima volta tanti anni prima, ci fermò una donna anziana. Aveva visto la macchina targata Roma nelle viuzze del paese, ci fece segno di fermare e abbassare il finestrino… voleva che portassimo delle sue lamentele al governo per qualcosa che aveva a che fare con l’acqua.

In porto c’erano solo i pescherecci. Passammo la giornata con un ragazzo del posto che era appena sbarcato dopo sei mesi in mare.
“Qui o lavori sui pescherecci, facendo arricchire quei cinque/sei proprietari, o ti imbarchi e stai fuori 6/8 mesi a volte anche di più…”

E ora? c’erano le bancarelle che trovi in ogni mercatino. Il paese sembrava vuoto dei suoi abitanti, che forse erano dietro le persiane o forse erano in vacanza. Dalla piazzetta che è un po’ il centro del paese, la gente era assiepata:
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Il mondo cambia e forse per Portopalo e i suoi abitanti sarà un bene. Comunque non ci si può fare niente. E poi è stupido pensare di ritrovare dopo tanti anni le stesse cose di allora. Ma siamo fatti così. Invece mai nulla è come era. Nemmeno noi lo siamo.
I ricordi sono qualcosa che non si distingue molto dai sogni.
Aver vissuto è un’esperienza profonda e completa ma quello che resta è qualche immagine, qualche emozione. Un libro, un film, possono sovrapporsi ed essere veri quanto un ricordo.
Alla fine non sai più se quello che hai vissuto è più vero di quello che hai recepito dalle esperienze altrui.

Un pomeriggio di sole in un paese deserto e un gruppo di ragazzi seduti a passarsi una peroni bagnata dalla condensa. Di qualcuno di loro conosco parte della vita che hanno avuto dopo. Di quello che viveva in quel paese no. Chissà se ci vive ancora. Anzi, un po’ tristemente mi correggo nel pensiero, chissà se vive ancora.

Torniamo su verso Noto. I campeggi che incontriamo non ci soddisfano.
Avevo trovato prima di partire un altro campeggio di quelli che piacciono a noi, a Palazzolo Acreide: la Torre degli Iblei.

Però mi sto rendendo conto che quelle che sulla carta sembravano distanze facilmente superabili nella realtà pesano. Sarà il caldo, le ore in macchina, ma ad arrivare a Palazzolo Acreide ci mettiamo un bel po’.
Il camping sembrava perfetto, ma c’era un grosso dubbio: organizzano concerti e festival. Però mi ricordavo che intorno ferragosto c’era stato un festival heavy metal e che adesso doveva esserci qualcosa di più tranquillo.

Nulla contro i metallari, per carità, ma fare vita diurna, che sia mare o arrampicata, poco ha a che fare con fare mattina fra concerti e seguenti schiamazzi.
Chiediamo com’è la situazione, ci dicono che inizia un festival di artisti di strada.
Per il resto è perfetto: un ampio bosco alberato in cui metti la tenda dove ti pare.
Montiamo la tenda e siamo felici della scelta. C’è poca gente, il posto è fresco da mettere la felpa. Il festival inizia tardi ma non disturba, è piuttosto lontano da noi e qualche canzone è piacevole.

Il giorno dopo, essendo nelle vicinanze della necropoli di Pantalica, più per il fiume che ci scorre dentro e le sue pozze che per i buchi sulle pareti che sono la necropoli, di cui francamente non me ne può fregare di meno, decidiamo di andarci.
Il fottuto navigatore ci tira un altro dei suoi scherzi e ci allunga il percorso di una ventina di km, come se non bastassero quelli che già dobbiamo fare.
Vedo cartelli stradali che indicano cittadine i cui nomi ricorrevano nella guida di arrampicata, ma fa talmente caldo che non ci penso neppure. Solo l’idea di fare un avvicinamento al sole o della roccia che ha assorbito calore per ore e che te lo butta addosso, per quanto tu stia scalando all’ombra… mi passa la voglia di provarci.

C’è un ingresso, per arrivare al fiume. Non si paga ma ci sono decine di macchine parcheggiate. E altrettante se ne vedono dall’altra parte, dove avremmo dovuto arrivare noi se non fosse stato per lungo giro che il navigatore aveva ritenuto di propinarci.
Un simpatico personaggio all’ingresso ci chiede di dove siamo. Di Roma.
Perché, chiede Manu, se eravamo di Firenze non ci faceva entrare?
La battuta provoca una ridda di pensieri nella mente dell’uomo. Quando vedo che il volto assume pieghe aggressive sento il bisogno di spiegare: è una battuta… scherza sempre…
Allora si distende e dice che è per il questionario, che lui deve segnarlo.
Entriamo e dopo poche decine di metri ci raggiungono dal fondo della gola urla e e schiamazzi di gente, bambini, madri e padri… che si chiamano, si incitano, forse a fare il bagno, a tuffarsi… non so.
L’dea di scendere il sentiero (e poi risalire) sotto questo sole per trovare giù un’orda di gente che ha occupato ogni spazio ci fa desistere.
Ci mangiamo il panino sotto un albero e torniamo indietro.
Il portiere non ci riconosce.
Chi siete?
Tu vieni di Germania? mi fa… e Manu scoppia a ridere perché dall’abbigliamento mi ha preso per un tedesco… lui la guarda sospettoso.
Siamo sempre quelli di Roma, dico.
Allora ci riconosce. Siete stati poco, dice. Vuole sapere perchè.
Perché c’è troppa gente spiego. Lui pare offendersi, come se fosse una sua manchevolezza.
Si ce n’è tanta, dice. E ora dove andate?
Boh… a trovare un fiume, dico.
Non ce ne sono.
E allora arriveremo al mare… rispondo.
Ma sulla carta ho visto che la nostra strada traversa un fiumiciattolo. La valle verde sotto di noi mi fa capire che non è secco. Infatti scendiamo e troviamo un punto tranquillo.

Un po’ di refrigerio e di tranquillità finalmente.
Ma insomma, non nascondiamoci dietro a un dito, fare mille km per trovare un fiumiciattolo … me ne andavo dalle parti di Subiaco era pure meglio.
Per il resto una terra riarsa, i cui colori dominanti sono il giallo, il marrone e il nero degli incendi. Una calura opprimente, pesante, il canto delle cicale onnipresente.
Attraversi paesi vuoti, piazze con chiese bellissime fatte di blocchi di calcare o una specie di tufo, giallo cui però riesci a fare a malapena una foto, mentre il caldo ti schiaccia in una parete ombrosa o ti mette in un angolo ventilato da cui non riesci a muoverti.

La Sicilia non è fatta per essere visitata ad Agosto.
Sicuramente non è fatta per scalare ad Agosto questa zona, dove le falesie sono infossate nelle cave, come qui chiamano i canyon scavati dai fiumi nel loro scorrere per millenni, dove non circola aria, o sono sull’altopiano ibleo, dove il caldo è più opprimente che sulla costa, dove comunque grazie al vento del mare, seppure umido, si respira.

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Fuori dalle zone di mare e dalle vie principali dell città d’arte non si vede anima viva. Ma le spiagge e le zone indicate dalle guide turistiche sono piene di gente. Tanta, troppa.
Alle spiagge della riserva di Vendicari si arriva per strade sterrate, si parcheggia a pagamento e si cammina verso la spiaggia. Piena di gente e di ombrelloni.
Troviamo comunque un posto un po’ isolato, ma è un’isola di sabbia sugli scogli. Un caso.

Sentiamo uno che passa magnificare la spiaggia di Donnalucata. I suoi toni sono quelli che io potrei riservare al Taj Mahal.
Mi ha convinto, domani andiamo da quelle parti. Tanto dobbiamo fare il bagno su quel mare, che non è più tirreno, non è ionio, è semplicemente, mediterraneo, il quarto dei mari del nostro giro.

Ma la notte gli artisti di strada decidono, verso le due, di fare un po’ di dj set. Così per 40 minuti la tenda è invasa da destra dai suoni del festival, da sinistra da quelli della discoteca con un dj improvvisato e ubriaco.
Un baillamme che i migliori tappi per le orecchie non riescono a dissipare.
Il casino dura fino alle cinque del mattino, più o meno.

Insomma non è con uno stato d’animo ben disposto che traversiamo quella parte di terra siciliana che va sotto il nome di altopiano ibleo, passando per Ragusa, Scicli e infine Donnalucata, dove se avessi avuto sotto mano il tipo della spiaggia avrei avuto piacere di prenderlo a schiaffi in testa.
Che ci trovi di bello bello bello bellissimo in una spiaggia chiusa dalle case, piena di gente, con la strada che passa e il traffico che strombazza?

Non ci fermiamo nemmeno, nelle “spiagge del commissario Montalbano”, magnificate dalle guide. Ma chi se ne frega di Montalbano, non ho mai visto nemmeno una puntata.

In un bar chiediamo di un posto tranquillo. Ci dicono della scogliera di cava D’Aliga e il punto da cui arrivarci.
In effetti non c’è nessuno e il posto è meraviglioso. Una scogliera a gradoni su cui è comodo sdraiarsi che arriva in mare. E non c’è nessuno.

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Solo che dopo qualche ora intorno a noi cominciano strani movimenti. Un tipo è nascosto dietro uno scoglio e ogni tanto fa capolino. Un altro è poco distante.
Guardoni? (ma non c’è niente da guardare, stiamo leggendo…) o peggio aspettano che magari ci facciamo il bagno contemporaneamente per fregarci tutto?
Quello che fa capolino è sfrontato, manu ad un certo punto lo apostrofa, quello fa finta di niente e continua a giocare a nascondino.
La situazione non è piacevole. Raccogliamo tutto per andarcene.
Mi viene in mente che l’altro sta andando verso la nostra macchina e temo un danneggiamento. Sai che divertimento trovarci con le gomme tagliate?
Il tipo del nascondino si allontana, l’altro si avvicina e cerca di farci chiacchierare. Poi quando vede che non riesce più a trattenerci telefona (al compare) il quale accelera il passo.

Lo faccio anche io quello mi vede e si mette a correre. Insomma fa in tempo a salire sulla sua macchina e scappare a razzo. Volevo raggiungerlo solo per essere sicuro che non ci facesse qualche scherzo, ma magari quello mi ha visto con il paletto dell’ombrellone in mano e avendo la coscienza sporca è scappato.

Va beh, non è successo niente, ma non è stato piacevole.
Ecco perché la gente va in branco, obbedendo ad un istinto atavico. Il branco è rassicurante. Protegge. Andare da soli ha i suoi vantaggi, ma anche i suoi rischi.

Dopo una sosta in un bar andiamo sulla spiaggia di Pozzallo, che è veramente molto bella.
Una duna alta parecchi metri la divide dalla strada. Vegeazione mediterranea. Sabbia finissima.

e un bel tramonto ci rimette in pace dopo le emozioni dell’inseguimento

La sera cena a Portopalo.

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Poi in piena notte qualche sconsiderato organizza un altro DJ set e restiamo svegli, nostro malgrado, ad ascoltare le stronzate che dice il DJ.
Peccato perché il campeggio è fichissimo e fresco. Il posto è bello. So che si mangia bene e c’è la piscina. Però se non sei lì proprio per l’occasione (festival e quant’altro) il casino notturno è pesante.

Anche se il camping è fuori dai giri di chi è appassionato di spiagge, specie in altri periodi meno caldi può essere un’ottima base di appoggio, anche per l’arrampicata in zona. Ma così è veramente disagevole.

Per l’arrampicata, come dicevo, niente. Non ci abbiamo nemmeno provato.
L’ultimo giorno abbiamo fatto ancora spiaggia sul lungomare di Avola.

La sensazione è che la Sicilia (orientale) il turismo lo sfrutti eccome. Per quei due mesi l’anno, intere zone residenziali si popolano, per poi tornare in quiescenza. Lo vedi dal fatto che non c’è un negozio, un bar, niente di niente. La sensazione è che la Sicilia vera sia un’altra cosa e vada vista fuori da quei due mesi in cui si attrezza per farti andare sulle sue spiagge, farti vedere le sue bellezze artistiche o naturali.
E’ una scenografia insomma, quella in cui ci si muove. Fuori di quella non c’è niente. O meglio niente per noi che veniamo da fuori, invece probabilmente è tutta lì l’essenza da cogliere.
Ma se ti muovi fuori dagli scenari previsti ti muovi in un deserto, anche trovare un bar risulta difficile. Finisce che ti fermi agli autogrill, per disperazione.

Forse il non aver fatto arrampicata è stato disorientante. Perché in genere il cercare le falesie ci porta a contatto con realtà più interne e quindi più vere.
Anche se lo sguardo del climber è comunque votato alla roccia e alle vie, è comunque portato a frequentare luoghi meno turistici e ad entrare in contatto con realtà umana disabituate al turismo di massa, ancora curiose di comunicare, chiedere, raccontare.

La scenografia in Sicilia (orientale) così è rimasta su un solo livello, quello che in generale a noi non piace. Quello delle spiagge affollate, degli stabilimenti, dei mercatini per turisti. Non siamo riusciti ad andare oltre.
Per questo il bilancio è grosso modo negativo. Non abbiamo “legato”, in questo contesto di agosto. La nostra richiesta e l’offerta non combaciavano.
Per quanto ci riguarda è da farci un giro in un altro periodo, non solo per scalare, ma anche.
Non abbiamo visto tante cose. L’Etna per esempio. Le Gole dell’Alcantara.
Volevamo prendere le canoe e scendere il fiume lungo Cavagrande, ma c’era anche lì un sacco di gente.

Quello che è certo è che i bar, le gelaterie e le pasticcerie siciliane sono il paradiso di un goloso.La crema, la ricotta nelle sfogliatelle, la granita al pistacchio e ricotta e quelle alle mandorle. Da farsi del male.

Il bilancio della vacanza è che è stata faticosa, interessante, e andando alla scoperta abbiamo avuto il piacere della stessa ma anche lo stress di sorprese poco gradite. Fa parte del gioco. Ora sarebbe il caso di ripartire, evitando quello che non ci è piaciuto e aggiustando il tiro, cercando altre perle in questo magnifico paese devastato da chi ci vive.
Alla prossima.

….
Altre foto:
Molise
Calabria
Sicilia

PS diffidate sempre dei navigatori. Specie quello di Waze.

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Falesie nella sicilia orientale ed esposizione (da Di Roccia e di Sole)
sito di riferimento: http://www.baloofree.it/

Sanfratello – Ovest (Ombra al mattino)
Nebrodi S/E (Ombra metà pomeriggio)
Rocca Calanna Sud (sole pieno)
Capo Calavà – ENW a seconda dei settori (gneiss, vie lunghe)
Molino S/E (ombra pomeriggio)
Mazzarò N (spiaggia DWS)
Stokolm E (ombra pomeriggio)
Acqua Rocca E (Etna 1400 mt Ombra pomeriggio)
Bronte N S (1050 mt Etna)
Serbaggio N E S
Brucoli N
La Pagoda N
Panettone E (ombra pomeriggio)
Bunker Sud
Curvone Ovest (ombra mattino)
Sortino Sud
Pantalica S E N
Cassaro Est (ombra pomeriggio)
Nome e Cognome, Paradox Wall Sud
Pisciotta Sud
Contralfano ES
Grotta del Re Lucertola Sud
New School E S
Arance Rosse Ovest (ombra mattino)
Arena Sud Est
Cavadonna Est (ombra pomeriggio)
Cava della Contessa Ovest (mattino)
Cavagrande Ovest (mattino)
Gole della Stretta Sud
Timpa Rossa S E
Cava d’ispica S N E (settori la Piazzetta e catacombe Nord)
Castelluccio Sud
Iaddinara E
Settore Ibleo Ovest
Cimitero Ovest e Sud
Ambiguità Ovest
Pandora Est
Umpa Lumpa Est

Una risposta a “Il tour dei 4 mari.”

  1. Commento da conoscitore 🙂
    Su Pantalica, si, venivamo da Ferla, dove c’è un accesso, ma ci hanno detto che era più bello sopra. E il navigatore ci ha fatto fare un giro della madonna per entrare a Sortino, sull’altro versante della gola rispetto all’altra entrata di Ferla.
    Però ho visto che anche la riserva del Cassibile era molto frequentata.
    E’ proprio che c’è tanta gente in giro… e per via del caldo e della scarsa conoscenza della zona, affidata più che altro alle guide, anche quello che normalmente ci salva, ovvero non aver paura di camminare, non è bastato.

    Le falesie più sopra le avevo prese in considerazione, ma forse dopo due settimane di smonta e rimonta eravamo stanchi… ci siamo adagiati e abbiamo rinunciato.
    L’Etna, sì, lo immagino.
    Però anche all’Etna mi piacerebbe dedicare qualcosa di più di un mordi e fuggi da turista in torpedone. Vorrei andare lì e “sentire” la montagna e quel qualcosa in più che è una montagna viva come l’Etna.
    Mi piacerebbe leggere, studiare, conoscere e poi andare e toccare.
    Spero di averne l’opportunità in futuro.
    grazie del commento 🙂

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