L’Avvocato

Sono andato a vedere The Counselor – Il procuratore, il film di Ridley Scott scritto da Cormack McCarthy. Nel film ci sono anche un bel po’ di attori molto noti: da Brad Pitt a Michael Fassbender, da Penelope Cruz a Cameron Diaz, da Javier Bardem a Bruno Ganz.
Con queste premesse fa specie che la maggior parte delle critiche siano state negative. La parola che più ricorre è “deludente”. Il concetto è che il film “non è all’altezza delle aspettative”.
Un compendio di recensioni negative qui.


Effettivamente, penso che il novero delle aspettative che possano essere deluse sia piuttosto ampio. Dipende dal grado di cultura cinematografica di ciascuno. Con un simile cast ci si può aspettare di tutto, traendolo dal proprio immaginario: dagli effetti speciali alle scene sexy, dal poliziesco di vaglia al noir di culto. Ma qualcosa in cui l’intensità è più nel non detto che nel mostrato, può deludere. Laddove è più il vuoto che il pieno, nella storia narrata, ci vuole un regista e un cast di attori capaci di stare un passo indietro, per non snaturarla con un protagonismo oltre il necessario.

Non è bastato evidentemente, per molti. Perché concentrati sull’attore, o sul regista ma anche sul dialogo, si perde l’essenza che è come un koan zen.

Io sono andato a vedere il film perché sono un estimatore di Cormack McCarthy. Ma non mi aspettavo un film da leggere, ovviamente. Avevo sentito parlare di dialoghi cui le scene facevano da contorno. Dialoghi cioè che sono il clou del film. Ma un film è un film, quindi una storia raccontata con le immagini e le parole.
E non sono rimasto deluso. Non mi aspettavo colpi di scena o effetti speciali, recitazioni da oscar, personaggi eclatanti, citazioni da cult. Mi aspettavo la stessa sensazione amara e disorientante che provo al termine dei libri di McCarthy ed è andata così. Alla fine del film mentre scorrevano i titoli di coda invece di alzarmi e scappare via alla porta per primo, sono rimasto seduto a rimuginare. Per un po’.

I dialoghi sono importanti, è vero. Accompagnano nella storia, quanto e come le scene, la maschere degli attori, la fotografia. Ma non è un film parlato, tutt’altro. Però quello in cui si sente il peso della mano di McCarthy è il tema. Ed è giusto così. Ridley Scott ha preso una storia di McCarthy e l’ha portata sullo schermo.

C’è riuscito?
Per me sì. Perché mi ha dato la stessa sensazione di un libro di McCarthy.

Scrivevo tempo fa a proposito di un suo libro del 67, “IL buio fuori”.

E’ che nell’universo di McCarthy esistono i demoni, le incarnazioni del male puro. Che non vanno oltre la mera essenzialità del vivere e morire nella maggior parte dei casi, e che raramente, per fortuna, hanno la freddezza di perseguire uno scopo. Questi demoni non sono solo dei predatori. Sono degli assassini. Si nutrono del male. Si placano, ma solo momentaneamente, col male.

E poi esistono le vittime. A testa bassa, ignari dell’orrore che li circonda, vivono per non morire. Fino a che non entrano nella visuale degli assassini da cui difficilmente troveranno scampo. Sono altre forme di vita che cercano disperatamente di sopravvivere. Come topi.

E mentre gli assassini vanno in branco, le vittime sono sempre sole. La morte di una è la sopravvivenza dell’altra.

Sono proprio due razze diverse, quelle che vivono sulla terra, per McCarthy.

Non è la dualità presente nell’uomo. L’ambiguità. Le vette e gli abissi dell’anima. No, non è la patina.
Se scavi, se togli la patina, non trovi l’assassino sotto la vittima. La vittima resta vittima.
Quasi sempre. Sono pochi quelli che riescono a opporsi al male.
No, sono proprio due forme di vita diverse. Esteriormente simili, ma che vengono da mondi separati. In noi non c’è l’angelo e il demone. C’è l’uomo. Oppure il demone.

Il Jefe, l’avvocato del cartello cui l’Avvocato protagonista si rivolge disperato, mi ha ricordato un libro di Jodorowsky (la danza della realtà) in cui appunto parla del Jefe, un personaggio immaginario che lo istruisce sulla vita.

Il Jefe, è una sorta di profeta. Un tramite fra gli dei e la sofferenza umana. Spiega che bisogna solo aspettare. Forse si forse no. Dall’altra parte, inconoscibile, c’è il male, l’entità superumana.

Per me è questo il tema principale di McCarthy, il male come entità fisica. Per McCarthy esistono i Demoni, gli angeli caduti, che operano sotto sembianze umane. Sono qualcosa che lui si limita a descrivere, che non classifica e non commenta, ma ne è in qualche modo ossessionato e tutti i suoi racconti ruotano attorno all’interazione di uomini con questi esseri. Il fatto che questi esseri abbiano sembianze umane e siano in tutto umani complica le cose, le ambigua un po’. Si tende a pensare al dualismo del bene e del male presenti nell’animo umano, in minore o maggiore misura. Ma non è proprio così. C’è la debolezza dell’Uomo e c’è la natura sovrumana del Demone. Se avesse la Fede il triangolo si chiuderebbe facilmente. Ma non ne ha. L’uomo di McCarthy ha perso ogni contatto con Dio. E’ solo, minuscolo, insignificante, pura carne da macello.

Nel film, il male è attorno. In quel “cartello” di trafficanti che si intravede solo a sprazzi e superficialmente, ma che è sempre ossessivamente pervasivo, come qualcosa appunto di soprannaturale, di sovrumano.

Il film dipana la storia di alcune vittime, nel senso inteso sopra. Ovvero è un compendio di fragilità umane. L’unica cosa che accomuna queste persone fra loro diverse è l’avidità.
A Reiner (Javier Bardem) piace il lusso. A Westray (Brad Pitt) le donne. All’avvocato (Fassbender) l’amore, il successo. Per avidità entrano in affari con il cartello della droga. Ma qualcosa va storto e sono costretti a pagarne le conseguenze.

La fragilità si paga. E’ uno dei temi di McCarthy.
L’altro è: ogni scelta ha delle conseguenze. Il controllo su di esse è illusorio. Gli ingranaggi che si mettono in moto possono stritolarti.

Come spesso accade nei racconti di McCarthy quello che è saliente accade altrove, all’insaputa del protagonista, che ne sconta le conseguenze.
Loro credono di poter controllare il proprio destino, in forza della loro intelligenza (l’avvocato), dell’esperienza (Westray) del cinismo (Reiner) ma dal destino vengono umiliati. In questo senso sono, insieme, artefici e vittime. Creano il loro mondo che cessa di esistere quando loro non esistono più.

Nella meccanica quantistica, le particelle non hanno uno stato determinato finché non vengono osservate. Ci sono teorici che hanno impiegato molto tempo nel tentativo di capire come si possa spiegare questo fenomeno. Una spiegazione può essere che viviamo in una simulazione, e vediamo quello che ci è necessario vedere quando ci serve vederlo.

(da un pazza teoria fatene quello che volete… )

E’ l’ambizione personale, il progetto individuale che risulta ridicolizzato, umiliato.
E la storia in sé non è importante… sono le nostre ambizioni, i nostri progetti, quelli di cui stiamo parlando.

Il pugno allo stomaco che arriva dai racconti di McCarthy e dal film di Ridley Scott è questo. Che anche se non abbiamo idea di fare affari col cartello della droga messicano, i nostri progetti, le nostre ambizioni, il destino che pensiamo di poter governare… non valgono niente. La nostra vita, non vale niente. Siamo vittime predestinate.
Dall’occhio di questo male immanente possiamo sperare di passare inosservati e magari gliela facciamo, per un po’. Ma avvicinarsi alla sua essenza con il cuore impuro, ovvero infiacchito, ci farà stritolare. Con la stessa indifferenza con cui viene schiacciato un insetto.

Ma il paradosso apocalittico è che la purezza di cuore in questo caso è incarnata da Malquina. Un predatore spietato. Apparentemente pura perché non ha passato, non desidera ritorno, vive il presente senza attaccamento. Non prova dolore. Non ha rimorso. Non ha debolezze.

Vedere una preda uccisa con eleganza mi commuove. Una cosa del genere è sempre erotica. Il cacciatore ha grazia, bellezza e purezza di cuore come nessun altro. Non c’è distinzione tra quello che sono e quello che fanno, e quello che fanno è uccidere. Noi ovviamente siamo di un’altra pasta, la fiacchezza del nostro cuore ci ha condotti praticamente alla rovina. Forse non sarai d’accordo, ma niente è più crudele di un vigliacco, e il massacro che verrà supererà ogni immaginazione.

Malquina

In “the road” il fuoco, la scintilla dell’umanità, era portata dal bambino. La purezza era il bene e il bambino stava per morire. Questa società alla deriva prepara quello scenario. Il massacro che verrà supererà ogni immaginazione.
Non c’è compiacimento, nella fine. Piuttosto rassegnata presa d’atto.