A ciascuno il suo livello di incompetenza

Il sondaggio relativo alle elezioni del capo dello Stato sul blog di Beppe Grillo per quanto mi riguarda è stato molto deludente.

Non solo la base del movimento cinque stelle ha messo Romano Prodi e Emma Bonino nella decina di “prime scelte”, ma ha anche votato in maggioranza alla fine Milena Gabanelli e Gino Strada come candidati alla Presidenza.

E questo non mi piace. Il perché è presto detto.

Non mi piace il metodo usato per la scelta. Il sondaggione. Ho scritto più volte che la democrazia assembleare non mi piace. Preferisco quella rappresentativa. Preferisco che siano valorizzate le competenze. Che chi è competente  risponda delle sue scelte attraverso delle libere elezioni, ma l’elettore deve essere competente su ciò che lo riguarda. Il senso della democrazia rappresentativa, nata quando non esistevano né televisione né internet, era che ognuno votava il candidato del suo paese. Lo conosceva più o meno personalmente, quello gli diceva cosa voleva fare per il suo paese, le strade, l’ospedale, la scuola. L’elettore decideva se dargli la delega perché lo rappresentasse. In parlamento l’eletto, insieme ad altri come lui, faceva o cercava di fare quello che aveva promesso, poi spiegava ai suoi elettori come e perché aveva o non aveva fatto, per questo veniva o meno rieletto. In parlamento l’eletto insieme ad altri come lui più esperti di lui, faceva le Leggi. Eleggeva un governo e alcune cariche istituzionali, nominava dirigenti e funzionari, eleggeva anche il Presidente della Repubblica.

Ognuno era chiamato a scegliere qualcuno che lo rappresentasse ma in questa scelta c’era cognizione e conoscenza, in una catena democratica di successivi livelli di competenza.

La televisione prima, internet poi, hanno determinato il salto di tutti i livelli intermedi, si vota direttamente il capo del governo e/o il capo dello stato. Senza però avere idea dei ruoli istituzionali e dei compiti della carica. Il ruolo del parlamento è stato esautorato da questo corto circuito istituzionale. Il principio della delega è rimasto, sulla carta, ma svuotato nella prassi. Il ruolo e la figura del parlamentare sviliti. Non devono rispondere ai propri elettori, che erano una volta i vicini di casa, i compaesani, ma solo ai dirigenti del proprio partito, che tramite reiterati passaggi televisivi costruiscono il consenso fra l’elettorato.

Il processo degenerativo dei meccanismi della democrazia rappresentativa era già iniziato negli anni 70-80, (e ancora prima era inficiato dalle grandi battaglie ideali, laddove si votava la persona perché cattolica, o perché comunista, a prescindere dalla persona stessa, ma perlomeno, questo rispondeva a precise esigenze di “classe”) ma esplode con il partito di plastica di Berlusconi. Questi usa il consenso attorno alla sua figura carismatica, per riunire attorno a sé personaggi di diversa estrazione e li trasforma in parlamentari. Cantanti, attori, soubrettine, i propri avvocati, amici, amici di amici. E’ la sua figura di imprenditore di successo e affabulatore ad attrarre e gli italiani infatuati attraverso lui quasi senza accorgersene danno fiducia a perfetti sconosciuti, ma simili a vicini di casa,  magari perché visti tutte le sere in Tv. In quel mondo di plastica che è la TV.

E’ la TV che permette tutto questo. Che travolge il meccanismo della delega alla persona fisica su cui è stata pensata la nostra democrazia.

La struttura del partito in questo modo non è più ancorata nel tessuto popolare. Non risponde agli elettori de visu, ma solo attraverso il cristallo dello schermo televisivo, laddove la realtà può essere edulcorata a piacimento, e odori, sapori, umori sono solo immaginati. I politici diventano attori in primo luogo, se già non erano prima persone di spettacolo. Privi di ogni controllo gli uomini dei partiti si trasformano in membri di bande che occupano gli snodi di potere del paese, dove è possibile controllare appalti, finanziamenti, flussi di denaro. La “sinistra”, anziché comprendere la natura perversa di tale meccanismo, insegue Berlusconi e la sua banda sul suo stesso terreno arrivando ad intendere la lotta politica meramente come un contendere quegli snodi di potere: banche, assicurazioni, enti, fondazioni.

La casta, la corruzione, lo sfacelo delle istituzioni, il vuoto della proposta politica che deriva da tutto ciò è tristemente sotto gli occhi di tutti.

In questo vero e proprio corto circuito, i meet-up del movimento cinque stelle, strettamente ancorati alle realtà locali, hanno rappresentato un ritorno alle origini assolutamente salutare. Una vera e propria ventata di aria pura.

Scavalcando il rapporto cittadino-televisione, hanno riproposto il territorio, i beni comuni, le realtà locali come elemento essenziale della vita politica. Hanno parlato di riappropriazione della politica da parte dei cittadini. Hanno rimesso al centro dell’azione la piccola politica, quella dei rapporti personali, in contrapposizione alla politica dei talk show, dei ballarò, dei brunovespa.

Ora, queste “quirinarie”, rappresentano proprio lo svuotamento di tutto ciò. Chiedendo ai cittadini di esprimersi su una questione, quella della Presidenza della Repubblica, attorno alla quale, su ruoli e funzioni istituzionali non c’è conoscenza. E d’altro canto, non si può chiedere ad ognuno di noi di diventare esperti di diritto costituzionale. La nostra è una società estremamente complessa, non dobbiamo e non potremmo mai sapere tutto. Le cose, è vero, dovrebbero essere più semplici. Dovrebbe farsi uno sforzo massimo per semplificarle, perché nella complessità può celarsi il malaffare, la corruzione, la mala amministrazione. Ma restano comunque complesse e non può non valere il principio della delega sulla fiducia.

Se andiamo da un medico, da un chirurgo, ma anche da un meccanico, o chiamiamo un idraulico, ci fidiamo del fatto che qualcuno, una università, un ente ospedaliero, un albo degli artigiani, ha definito la competenza di quella persona. Poi certo possiamo approfondire, possiamo metterci le nostre sensazioni, le nostre esperienze. Il meccanismo della delega della fiducia ha anche dei buchi, ma sostanzialmente questo è.

Ci deve essere qualcuno che decide, bene o male, che una tale persona è competente per quel ruolo.  Questo non è garanzia che la persona sia stata scelta bene, per carità. Ma è il principio, quello che conta.

Banalizzare questo principio, introducendo quello che tutti possano decidere su chi deve occupare ruoli dove occorrono competenze complesse non è democrazia. Non ha nulla a che vedere con la democrazia. E’ anzi esattamente il contrario di essa, lo abbiamo proprio visto in questi anni, quando Berlusconi ha introdotto il principio che un bravo imprenditore sarebbe stato necessariamente un bravo capo del governo.

Con le elezioni del candidato alla Presidenza della Repubblica tramite sito, il M5S ha quindi in realtà snaturato se stesso. Ha riproposto i modelli di politica banalizzante e dispregiativa per le istituzioni propri di Berlusconi, ha ricreato sul web il corto circuito televisivo.

E infatti ha vinto una giornalista televisiva.

Ovviamente ha vinto una figura cara a quella specie di visione politica. Ma è lo stesso che se qualche anno fa, con un simile sondaggio sul sito (o meglio, da una trasmissione mediaset con invio di sms a pagamento) avesse vinto come candidato Emilio Fede.

E’ la stessa cosa. E lo stesso corto circuito, lo stesso livello di incompetenza.

E questo, se permettete è molto deludente. Sorprendente per certi versi, dato che il m5s sembrava essere nato proprio in antitesi a questo tipo di politica.

E’ quindi deludente il metodo pensato dal “vertice” del m5s per far esprimere i propri iscritti. Ed è deludente altresì il fatto che, chiamati ad esprimersi, gli iscritti si siano rivelati almeno nella loro maggioranza, vittime compulsive dello stesso meccanismo televisivo da cui si pensava si fossero affrancati. Hanno infatti votato di pancia, quella pancia cui parla il totem posto nel salotto e attorno cui ci si raduna ogni sera o quando possibile in adorazione inconsapevole. Credendo di scegliere.

Infatti ognuno sceglie. Chi Milena Gabanelli, chi Emilio Fede, chi la Berlinguer. Ma sceglie all’interno dello stesso corto circuito. Per cui ecco che nella loro logica di scelta che non è una scelta, ci potremmo ritrovare un Presidente della Repubblica che è un giornalista. Bravo o cattivo non so. Non mi interessa nemmeno a questo punto. Che è come dire che lo stesso giornalista per votazione potremmo metterlo a fare il primario di cardiochirurgia in qualche ospedale di Roma, o Milano, o Torino. Perché no? se la logica è che siccome è brava a fare il suo lavoro allora saprà anche fare il Presidente, perché no?

O si vuole forse dire che la figura del Presidente della Repubblica è una figura che non richiede alcuna competenza?

Beh Caligola fece senatore il suo cavallo. Berlusconi assessore la sua igienista dentale. Mi dispiace, ma non c’è molta differenza.

Ci sono molti altri motivi per cui questa scelta non mi piace. Ma questo è il principale, da cui si può desumere il livello di incompetenza di sistema cui siamo giunti. E purtroppo, il nuovo non si dimostra diverso dal vecchio.

4 Risposte a “A ciascuno il suo livello di incompetenza”

  1. Buon giorno Roby ho votato la Gabanelli sperando che declini ,cosa che del resto ha fatto anche Gino Strada, l’ho votata più per spezzare il circolo vizioso dei politicanti. Non mi voglio dilungare ma come stà dichiarando già da ieri Grillo il vero candidato da appoggiare avendo una buona possibilità di essere votato anche da altri è Rodotà comunque ti seguo sempre

    1. Si capisco molte ragioni. Ma capisci quello che volevo dire? ho scritto di getto, quindi magari non sono stato chiaro. Per me il punto fondamentale è che queste “quirinarie” anche se sembrano il massimo della democrazia, in realtà la svuotano di significato, proprio come berlusconi per anni ha cercato (purtroppo riuscendoci) di svuotare di significato le istituzioni, i ruoli, le competenze.

  2. D’accrodo quasi su tutto. Ieri ho scritto sul blog una cosa quasi identica. http://whitetraces.wordpress.com/2013/04/16/la-civilta-del-telecomando/, Solo una riflessione aggiuntiva. Il meccanico deve saper riparare le macchine e in genere controlli la sua competenza in base al passaparola e all’esperienza pratica. Tua diretta. Così per tutti gli artigiani. Salendo (non in senso gerarchico eh) ad altri livelli profesionali ci sono anche uno o più “pezzi di carta” e enti certificatori.

    Per i parlamentari la cosa è un po’ più complicata. Semplicemente perché la storia ha dimostrato che il parlamentare una volta che lo diventa poi non lo schiodi più. O quasi. E non è che solo Berlusconi ci ha infilato amici o amici degli amici. Lo si fa da quando esiste la democrazia nel nostro paese. E’ un vulnus insito nella combinazione fatale fra il DNA italico e le dinamiche del potere. Con i parlamentari il meccanismo si inceppa. Potresti non votarli più. Ma poi per proteggerli inventano i “listini” i sistemi elettorali in cui voti la sigla. E il rappresentante te lo piazza lì il partito.

    C’è poi un’aggravante. Che non esiste un “patentino” per fare il parlamentare. E la maggior parte di loro face (e continua a fare con evidenti conflitti di interesse) altre professioni. L’avvocato, il giornalista (molti), il professore universitario (la maggior parte). Spesso senza alcuna competenza specifica. Nemmeno nelle cose che vanno a fare. Per pure spartizioni partitiche capita (quasi sempre) che un economista finisca in commissione affari esteri. E via dicendo.

    Questo per dire che il problema non è solo il metodo M5S. Sicuramente fallace. Ma che bisognerebbe ripartire – perché poi li si possa delegare con fiducia – da due presupposti.

    1) Patentino delle competenze. Per essere eleggibile devi avere delle specifiche competenze legislative. Fai un esame. Devi studiare. Come un concorso pubblico. Se lo passi sei eleggibile sennò a casa a fare ciò che facevi. Parlo di competenze di base eh. Che poi ci sono i funzionari e i consulenti. Però non puoi essere solo un bravo giornalista per fare il parlamentare. Sennò allora la Gabanelli presidente ci sta.

    2) Come dicono i miei amici anglosassoni “I vote you in. I vote you out”. Il meccanismo elettorale deve responsabilizzare il singolo individuo rispetto al suo collegio. I tuoi elettori ti devono poter venire a bussare alla porta se fai porcate. Massima delega solo con la massima responsabilità. Altrimenti nel mucchio le responsabilità si annacquano e i malfattori svicolano negli interstizi della finta democrazia.
    Già solo queste due cose secondo me farebbero fare un passo avanti alla democrazia rappresentativa. Che comunque deve continuare ad essere innestata con spazi di democrazia diretta. Le due cose non sono alternative. Ma possono essere, nelle giuste percentuali, complementari.

    1. Si, sono d’accordo. Infatti penso sia un problema da affrontare, insieme al fatto innegabile che la nostra democrazia rappresentativa è stata pensata in un’epoca in cui il mondo era totalmente diverso, nella percezione delle relazioni personali. Oggi al reale si è sostituito in buona parte il virtuale, e non solo con internet, laddove lo scambio può essere a doppio senso, ma già dalla TV con il volto “vicino di casa” che appare spesso nel tubo catodico fino a divenire una presenza costante in una relazione uno a molti che diventa senza che ce ne accorgiamo del tutto reale.

      E’ chiaro che in un mondo come quello di oggi il meccanismo della rappresentanza vada rivisto.
      Tu dici il patentino.
      D’altro canto, la nostra democrazia è composta da tre poteri: Esecutivo, Legislativo, Giudiziario che rispondono alle tre funzioni dello stato di diritto: Amministrazione, Legislazione, Giurisdizione.
      Paradossalmente, nessuno si sogna di immaginare i giudici eleggibili. O meglio, in qualche paese lo sono, per certe funzioni, ma scegliendo sempre nell’ambito di determinate qualifiche. Qui i giudici fanno carriera nella magistratura. Possono occupare diversi ruoli, ma non è che qualcuno possa pensare di prendere un bravo imprenditore, che pura abbia dimostrato doti di umanità e una certa saggezza, per farlo diventare presidente di corte d’assise.
      Per i politici invece questo è quasi scontato. Chiunque, a qualsiasi titolo, può svolgere quindi quella funzione delicatissima che è quella legislativa.
      Quella che nello spirito era una garanzia democratica: ovvero che chiunque potesse essere rappresentante al parlamento per il poplo italiano, laddove “chiunque” era una garanzia verso filtri dall’alto, è diventato nel tempo un appiattimento tale che veramente chiunque, senza arte né parte in causa, è diventato purtroppo spesso disoronevolmente, deputato o senatore della repubblica.

      Che si possa invece pensare a dei professionisti dell’amministrazione e della legislazione della cosa pubblica (attività in passato delegata alle scuole di partito) per certi versi è inevitabile, anche se questo poi comporta delle vulnerabilità sotto il profilo della separatezza di queste figure dal corpo della società civile. Vulnerabilità che va considerata e alla quale occorre trovare dei correttivi.

      Il problema non è assolutamente solo del m5S. Ma mi ha meravigliato la giravolta fatta forse inconsapevolmente, andando a riproporre un meccanismo della politica di questi ultimi lustri che è stato proprio della concezione berlusconiana.

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