Nel presente, ognuno è vero, per 15 minuti.

Ieri sera ho fatto un’eccezione e ho guardato la trasmissione di Santoro.
Saranno stati 3 anni che non lo guardavo. Né lui né altri talkshow.

Ieri sera, come molti altri milioni di italiani, ero nell’umore giusto per guardarla. Ci ho messo un po’ a sintonizzare il canale perchè il telecomando aveva le batterie scariche. Ma ogni tanto va fatto. Anche per rendersi conto che effettivamente faccio bene a fare altro. Ma anche per capire come funzionano gli altri. Ché io non sono mai stato molto bravo a capire cos’è che ha successo, quello che piace alla gente, e perchè.

Si in teoria lo so. La fenomenologia di mike bongiorno mi è chiara. Ma mi è così estranea che ne guardo la manifestazione così come assisterei al processo riproduttivo delle meduse. Pura curiosità, zero empatia. E così, in fondo, ne resto estraneo. E non so mai come e perché le meduse si riproducono.

Silvio Berlusconi è un nano della politica ma un gigante della comunicazione e da Santoro lo ha dimostrato in maniera strepitosa.
Una trasmissione secondo me impostata malissimo, con una prima partemolto lenta, e che il conduttore ha dovuto riprendere in pugno per evitare che si inabissasse. Silvio intanto furoreggiava, prendeva a pallate tutti, capace perfino di dire cose sensate e di dare lezioni di economia internazionale ….

da http://vitobiolchini.wordpress.com/

Riporto quanto sopra perché mi risparmia di dovermi impegnare a scrivere le stesse cose, visto che le condivido e posso passare oltre.

Silvio Berlusconi è un gigante della comunicazione, ma… gli altri, quanto appaiono nani!

L’odio è un sentimento antipolare all’amore. Al punto che a volte si confondono. Si ritrovano.
L’odio di quella sinistra per Berlusconi è così polarizzato da non essere dissimile dalla pervasività dell’amore.
E ieri sembrava che di fronte finalmente all’oggetto del proprio oscuro desiderio l’amante-odiante restasse lì in muta adorazione, fiacco, incapace di distaccarsi dal reticolo ipnotico del grande comunicatore.

E così, giornaliste e giornalisti, tutto l’impianto della trasmissione, specchiava la pochezza di questi berlusconi-addicted, olgettine dell’informazione, che sono vissuti per ventanni grazie a lui. Indirettamente stipendiati.

Eppure. C’è chi oggi è deluso e chi è contento. Del risultato, dico.
Ma che senso ha? Si sono visti un sacco di temi sfiorati appena. Sono state raccontate cose e dati dei numeri non verificabili al momento. Quello che resta è una sensazione.
La sensazione che hai ricevuto su chi abbia “vinto” e chi abbia “perso”. La banale semplificazione. La più banale fra tutte quelle possibili.

Ma a questo serve e conduce la televisione.

E la società italiana è strutturata su questo meccanismo, ormai.

Nel senso che se anche un consistente numero di persone non ne condivide i riti, è comunque questa, la macchina del consenso chiamata dell’informazione, a rappresentare la realtà della società italiana fotografata nei risultati elettorali.

Viviamo in un mondo in cui pochi, molto pochi, possono avere le capacità intellettuali, nonché il tempo necessario, per capire come funziona. E nessuno è in grado di descriverlo in modo semplice.

Ogni semplificazione della realtà, d”altro canto, non è la realtà.
E quindi, una semplificazione della realtà e una pura mistificazione della realtà sono, nel breve periodo, indistinguibili.

E i tempi televisivi sono brevi. Brevissimi.

La maggior parte della gente è stata addestrata a considerare la televisione come informazione.
Ma in realtà quello a cui assistiamo non è informazione, se non in senso lato, ma rappresentazione. Simbolismo.

Andy Warhol è divenuto celebre anche per quella sua frase: “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”.
Io direi: nel presente ognuno è vero, in quei 15 minuti.

Il tema centrale della crisi economica, la questione euro e sovranità monetaria, è stato appena sfiorato dall’intervento, quasi casuale, dell’imprenditrice veneta. Ma ha dato modo a Berlusconi di fare il politico: ovvero di lasciarsi davanti ampi margini operativi: “o la Bce diventa proprio una banca oppure italia grecia spagna saranno costrette ad uscire dall’euro, ma non è quello che vogliamo…” ovvero un colpo al cerchio e uno alla botte.

Solo questo, è un tema su cui fior di economisti di fama mondiale, alcuni premi nobel, hanno scritto molto, anche a livello divulgativo. Ma non essendo un argomento che fa audience, non viene portato in tv. Oltre tutto è anche un argomento che non consente agli showman dei talkshow di far contenti i loro padrini politici, tutti schierati per ignoranza o convenienza sul fronte opposto.

E così il vero problema della crisi e delle possibili politiche economiche per uscirne fuori si risolve con uno scambio di frasi che suonano oscure per chiunque non sia andato ad informarsi per suo proprio conto.

Questo ovviamente vale anche per tutto il resto: processi, scelte politiche, numeri.

Può essere vero tutto e il contrario di tutto, in quei 15 minuti.
La televisione non ha il compito di accertare la verità. Ma di presentare delle molteplici verità. O falsità. Ma è lo stesso.
Non sono distinguibili se non vai a monte o a valle a fare un lavoro enorme di vera informazione.

L’informazione devi costruirtela, se la vuoi.

Ma la gente, la maggior parte della gente, non lo fa. Prende quella rappresentazione per realtà..
Prende alcune semplificazioni per verità. Si accontenta di buttarsele addosso, da una parte all’altra. Come in una sassaiola, in cui pietre, palle di ferro, di legno, di plastica, sono indistinguibili, partono, salgono, scendono, atterrano nel campo avverso.

Ma è quella “maggior parte della gente” che fa numero e nella democrazia è il numero quello che conta.
Il voto di un informato vale quanto quello di un disinformato. Quello di un consapevole quanto quello di un mesmerizzato dai fluidi magnetici che scaturiscono dagli schermi, catodici, a cristalli liquidi o al plasma…

Solo che chi non ha tempo, voglia, capacità, strumenti, per informarsi sono molti di più. E quindi sono loro, che decidono. In ultima analisi.

E sono loro che i politici devono raggiungere, senza scendere in piazza, senza sporcarsi le mani.

Poi ce ne possiamo anche stare dall’altra parte del terminale, nelle nostre più o meno accoglienti casette, a incazzarci e sfanculare, tanto loro mica ci vedono o ci sentono.

Ma questo è il meccanismo. Le cose funzionano così, non si può starne fuori.

Il M5S, Grillo, fa bene a negare la propria partecipazione al teatrino. E’ un ottimo modo per ribadire la propria estraneità, la propria diversità. Oltre tutto, negarsi significa dare maggior valore alla presenza, quando sarà.

Ma qualche buon colpo, un paio almeno, nel momento giusto, Grillo, che è un ottimo comunicatore, dovrebbe piazzarli.
Potrebbe significare molto, in termini elettorali.