le formiche e le cicale

 
Per tutta la vita ho pensato: io morirò presto. Ad un certo punto mi sono reso conto che mi ero sbagliato. Che giovane non ero più e non ero morto. Inspiegabilmente sono sopravvissuto a me stesso.
Mi sono anche riprodotto. E non lo avrei mai creduto possibile.
Ci ripensavo, qualche settimana fa, proprio quando scrivevo il post sulle esperienze premorte, a quante volte c’ero andato vicino. Non me ne ero reso bene conto fino a quando non ho cominciato a raccontare le varie esperienze: ad un certo punto ho smesso… perchè mi sembrava di esagerare, rispetto ad altri, anche miei coetanei, che avevano poco da dire in proposito. Ho taciuto. Ma mi sono chiesto perchè ci fosse questa differenza. E non ho saputo darmi una risposta.
Mi sono chiesto se esistesse qualcosa in me che mi spingesse a cercare la morte. Oppure che mi facesse sentire vivo solo in quella sottile zona d’ombra in cui si è sul margine. O che esista in me una pulsione autodistruttiva cui si contrappone un (più) forte istinto di sopravvivenza.
Non lo so. Io in ogni cosa che ho fatto nella mia vita sono stato agli estremi. Pericolosamente. Non è solo questione di attività sportiva, anche se in esse ho sublimato parecchio questo istinto, vivendole con un abnegazione da professionista anche quando erano importanti solo per me.
In ogni cosa che ho fatto ho messo in gioco tutto.
Non era importante vincere, anche se ho cercato,  a volte disperatamente, di non perdere. Era importante giocare. Anzi: era importante sopravvivere. Perché sopravvivere significava continuare a giocare.
Ma vedo che con il tempo divento più saggio. Non spingo la vita al massimo. Ho una politica conservativa. D’altro canto gli anni passano e certe cose non me le posso più permettere.
Allora mi chiedo cosa farò nei prossimi anni, quando realmente il fisico non mi permetterà di vivere a modo mio.
La stanchezza, i dolori, la malattia… possono farti perdere la capacità di sentire la vita. Di provare emozioni.
La politica conservativa può arrivare al punto che vivi di ricordi, e null’altro.
Che senso ha?
 
Viviamo in una società in cui sembra che il valore primario sia la lunghezza della vita. Una lunghezza distinta dalla qualità della stessa. Una lunghezza a prescindere.
Vediamo gente negli ospedali tenuta in vita artificialmente. Vediamo persone che hanno perduto ogni dignità. Tenuti in vita in qualsiasi modo mentre il male li divora.
 
Io me ne sono sempre fregato del mio futuro. Non ho rimpianti del passato.
Non ci riesco. Io vivo la mia vita nel presente.
Non riesco a tormentarmi con "ah se avessi fatto, se avessi detto…" e questo è un bene, senz’altro. Ma nemmeno riesco ad essere previdente. A pensare al futuro. Alla sicurezza.
Non ci riesco: sono una cicala. Indubbiamente sono una cicala. Specie nei sentimenti, nelle emozioni. Voglio tutto e subito. Sono avido di emozioni, di sensazioni. Voglio morderla e ingoiarla a grandi bocconi, la vita.
 
Mi chiedo come possa la formica lavorare tutta la sua esistenza per accumulare sicurezza, non godendosi il presente e forse nemmeno il futuro.
Non discuto che possa esistere la formica, per carità. Ma io non ci riesco ad esserlo. Quando ci ho provato… si, ci ho provato, mi è sembrato di morire anzitempo.
 
Ma quando ti rendi conto che forse hai sbagliato le previsioni e che dopotutto l’estate è agli sgoccioli, allora che fai?
La cicala va a bussare alla porta della formica?
Non credo. Penso che sceglierò il modo e il momento. Come si è sempre fatto prima dell’avvento della logica della vita a tutti i costi. Me ne vado in cima ad una montagna d’inverno, mi spoglio e mi metto al vento. E attendo. Ma decido io.
 
Per questo non posso dividere la mia vita con nessuno. Per questo non voglio che qualcuno mi ami. Come posso spiegare a qualcuno che me ne sto andando (come tutti, ma che io ne sono consapevole e mi sta bene così), che la vita mi interessa sempre meno, che sono concentrato su alcuni aspetti ma che altri sono del tutto trasparenti, che non intendo costruire ma, piuttosto, togliere, ridurre all’essenziale?
 
Come si può spiegare a chi non sa… chi non prova…
io non mi amo.
E’ un imperativo categorico di questa società quello di amarsi.
Ma perchè dovrei farlo?
Ho un istinto di conservazione; ho una curiosità innata e il conoscere, e il creare, è un godimento intellettuale; alcune cose fisiche mi fanno star bene. Mi amo quando sto bene. Nel momento in cui sto bene. Mi amo in modo animale. Amo le sensazioni che provo.
Ma non posso amarmi a prescindere. Non posso amarmi quando sto male o non riesco più a star bene.
 
Questa insofferenza, questa inquietudine, l’essere fuori posto… mi ha sempre accompagnato, ed è sempre più presente. Ormai l’accetto come facente parte di me. Ed è incondivisibile e non nascondibile. Non a lungo almeno. Ho sempre sofferto questa tendenza ad essere fuori dal branco. Il mondo mi diceva che era sbagliato, che dovevo correggermi, che dovevo modificarmi. Che non sarei stato felice. Che avrei sofferto. Che sarei stato solo.
Si tutto vero. Ma non c’è niente da fare. Sono fuori. Lo sono sempre stato. Anche quando sembravo dentro… ero lontano. Anche adesso. Nessuno mi conosce veramente. Ognuno vede di me una faccia che è vera ma non è l’unica. Ce ne sono altre. Ognuna è importante e anche non lo è. Ognuna è vera ma potrebbe anche non esserlo. E’ sacrificabile. Ma perchè dovrei sacrificarla? Perchè dovrei nascondere parti di me, belle o brutte, stupide o intelligenti, eroiche o abiette. Per presentarsi in modo da essere adeguati ed accettati.
Io penso di essere inadeguato per il branco. Penso di essere asociale. Spesso dissociale.
 
Sono lo specchio di vite passate lontane anni luce e terribilmente presenti. 
Che mi sono anche stancato di presentare per spiegare chi sono.
Sono quello che sono e sono frutto di quello che sono stato. Di quello che ho visto e vissuto. Di ciò che mi hanno fatto e detto.
Ma vado per la mia strada. Senza nemmeno pormi la domanda di dove potrà portarmi. Anche perché se me la ponessi, e ogni tanto lo faccio, entrerei nel loop della sicurezza, dell’angoscia per non conoscere il futuro, nel non sapere come saranno i prossimi anni.
L’ansia del controllo del futuro; l’angoscia della paura della morte.
Quello che ci spinge ad accumulare, a conservare, a mantenere, a tenere stretto, a possedere, ad aver paura degli altri.
 
Ho sempre sofferto poco della necessità di essere adeguato e della paura del futuro. E questo poteva essere interpretato come arroganza. Come senso di onnipotenza.
Ma non è così. E’ solo che così penso di poter esprimere realmente me stesso. E non quello che il mondo ritiene sia il modo di esprimere se stessi.
Per cui continuo ad andare sulla mia strada.
 
Una strada che non può essere condivisa. Specie perchè il mondo è pieno di gente che pensa al proprio futuro con qualcuno proiettandolo nella logica della sicurezza verso distanze inimmaginabili. Quando nella realtà la maggior parte dei rapporti che abbiamo non dura più di qualche mese o al massimo qualche anno. E invece più che il presente, sembra debba essere condiviso, fra le persone soprattutto il futuro.
Nel mondo delle formiche è così. Ma io vivo nel mondo delle cicale.
 
 

11 Risposte a “le formiche e le cicale”

  1. Ho letto solo metà….non riesco andare oltre….
    lo farò dopo….con calma…e dopo ti risponderò e ti spiegherò perchè vale la pena di viverla sempre e comunque…questa nostra vita.
    Paola

  2. Spesso chi si avvicina alla prorpia fine tende ad abbracciare famelico la credenza religiosa, autoconvincendosi di aver trovato la fede "giusto in tempo". Si cerca quasi questo grande cancellino che giustifichi e purifichi le azioni di una vita. La cicala non ne ha bisogno. La cicala consapevole avra’ vissuto. Chi da sempre e’ consapevole di vivere non ha remore. Ha pensieri sul passato e interpretazioni del futuro ma non tende a rivisitare se stesso. Spiegarsi al prossimo e’ tanto difficile tanto quanto tedioso e ammorbante. A me tiene in vita una convinzione. Se non fosse per questo cardine potrei sentirmi del tutto in armonia con quello che hai scritto. ( non penso ti interessi molto..ma a me che mi frega e’ un blog pubblico! =P  ) Tendo a condividere cio che vivo. A dirla tutta io mi cibo dell’uomo. Non vivo in funzione dell’uomo, dell’altro pero’. Vivo e mi nutro delle sensazioni che derivano da una condivisione del bello. Se non ci fosse nessuno al mio finco davanti ad un bel tramonto non mi si mozzerebbe il fiato.Sono cicala..vivo di questo. Vivo di persone che sono formiche e questo mette me in difficolta’.

  3. ti capisco. si, so di cosa parli.
    ma la reiterazione ad un certo punto rende tutto più difficile perchè da minimi segnali riconosci gli esiti
    e non sbagli in genere.
    per cui anche condividere diventa rara.
    ma sarebbe strano che tu alla tua età senta le stesse cose che sento io.
    è giusto così.
    (e mi interessa, condividere, se no non scriverei qui. mi interessa trovare le rare persone con cui condividere. non è facile).
    🙂
     

  4. Ciao carissimo Robzz
    ti ho dedicato una canzone sul mio blog!!!
     
    ti voglio bene un bacio Cla
    (ciao bel cicalo!!)

  5. Su una striscia di comix di "mr wiggle" (mi pare si chiami) ho trovato questa battuta:
     
    "Ti ricordi quando ho organizzato la serata dell’asociale?"
    "Si, non è venuto nessuno…"
    "eehh è stato un vero successo!"

  6. Bellissima battuta….:-))))
     
    e da asociale che sono
    meglio soli che maleaccompagnati..!!!
     
    …bella ….bella…bella battuta davvero !!!

  7. Segreteria telefonica di un asociale:"Salve, non sono in casa, lasciate un messaggio dopo il beep e verrete ricontattati….."…………

  8. Bella storia, un po’ ci assomigliamo.
    Che strano, anch’io ho sempre pensato che non sarei mai diventato grande. Forse non lo sono nemmeno ora, ma qualche anno l’ho!
    Condivido con te che non c’è niente che ripaghi la libertà di fare e di andare, al di là di quelli che ciascuno di noi pensa possano essere i propri limiti.
     
    Un saluto.
     
    Fabrizio

  9. Sono felice del sorriso che sono riuscita a regalarti…ho aspettato fino a ora per commentarti…
    hai visto?….la sofferenza non ha bisogno di grandi parole…davanti alla sofferenza bisogna solo stare zitti e inchinarsi e sperare che non diventi più sofferenza…
    Hai scritto:
     
    L’ansia del controllo del futuro; l’angoscia della paura della morte.
    Quello che ci spinge ad accumulare, a conservare, a mantenere, a tenere stretto, a possedere, ad aver paura degli altri.
     
    La morte mi stava presentando il conto….era li….gli dicevo "prendi me"…ma lei…no…  ha girato la testa dall’altra parte….ma si vede che non ha girato la testa del tutto e deve avermi guardato bene perchè di fronte al mio dolore il suo ghigno è diventato un sorriso…e non si è presa chi ho di più caro al mondo.
     
    Non credo che tu sia cicala ne tantomeno formica…tu sei tu….vai bene così, con le tue emozioni, le tue sensazioni…ma devi riempirla quella barchetta, non deve rimanere vuota in mezzo al mare….
     
    E’ difficile, io convivo giorno per giorno con la paura ma ho imparato a gestirla…ma spero e voglio credere che ci sia un futuro per chi amo e mi vivo il presente amando la vita.
     
    Buona giornata…un bacio.
    Paola
      

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