Leggere, ma…

Diffido di chi mi dice: “io non leggo”.

Eppure mi è capitato di conoscere e frequentare, trovandole piacevoli, questo tipo di persone. Con loro ovviamente non si poteva parlare di libri. E nemmeno di quello che stava accadendo in giro, perché non leggono nemmeno gli articoli di giornale. Le notizie li raggiungono casualmente, tramite la radio o la televisione o ne sentono parlare, ma non appronfondiscono più di tanto. Al massimo dicono: “sì, ho sentito, ma non so… com’è la questione?”

Una volta mi impegnavo a raccontare. Oggi faccio un sunto velocissimo non preoccupandomi che sia impreciso. Tanto so che non ascoltano. Il disinteresse glielo leggi negli occhi che vagano intorno alla ricerca di un qualcosa che permetta di cambiare discorso.

Una volta mi impegnavo anche nel cercare la tipologia di lettura che potesse interessare la persona che avevo davanti. Semplicemente non consideravo possibile che un essere che sembrava avere tutte le rotelle funzionanti non leggesse. Per me era solo un meccanismo da avviare, un volano cui dare il primo colpo con qualcosa di interessante. Non esistono i non lettori pensavo, ma solo lettori sfortunati che non hanno trovato i  loro libri.

Poi ho smesso. Ho preso atto che i non lettori esistono e vivono benissimo. E non sono nemmeno persone con le quali non si hanno argomenti di conversazione, se escludo l’idea di parlare di un libro.

Io leggo moltissimo da sempre. Più libri contemporaneamente. Di natura diversa. Nei libri leggeri riesco ad avere ritmi di cinquecento pagine al giorno.  Ma non avendo quasi mai tutto il giorno per leggere, nei ritmi normali che comprendono lavoro, passioni, attività domestiche e riesco a dedicare alla lettura una o due ore al giorno, sto intorno alle 2000-2500 pagine al mese. Il che vuol dire 4-6 libri.  Ovviamente leggo moltissimo su internet, ma questo non lo considero.

Insomma la mia vita passa attraverso gli occhi e dagli occhi al cervello e qui le informazioni vengono filtrate, elaborate,  scartate per la maggior parte, alcune organizzate e archiviate. Per poi uscire quando meno me lo aspetto, in una conversazione, sotto forma di conoscenza. Quella conoscenza che non serve a molto perchè caotica. Al massimo serve a sorprendere il tuo interlocutore che ti chiede dove hai preso questa bizzarra informazione. Ma il più delle volte è meglio stare zitti, altrimenti si passa per tuttologi saccenti.

Una volta pensavo che questo fosse l’unico modo per acquisire conoscenza. Ma mi sbagliavo. Questo è un modo. Comodo e veloce, ma non il solo. E’ adatto però alla mia natura piuttosto stanziale.

Insomma preferisco leggere dei libri belli di viaggiatori interessanti piuttosto che partire e andare a rendermi conto di persona di quei paesi.  Mi sono sempre detto che dovrei viverci, in un paese, in un popolo, per capirlo. Dovrei parlarne la lingua.

Non avendo tempo, preferisco scegliermi qualcuno che riconosco come affine che lo abbia fatto e che mi trasmetta le sue descrizioni, riflessioni, impressioni, emozioni.

Ma questo è il mio modo. Quando vedo su facebook le foto di amici che hanno girato tutto il mondo nella loro vita sinceramente invidio la loro natura che li ha portati ad andare, a mischiarsi con la gente, con gli odori. A contaminarsi fisicamente. Io so di non esserne capace. Mi piace guardare la gente, ma da lontano. E il filtro delle pagine di un libro è perfetto.

Poi non è che per questo io non viva. Ci sono stante cose nella mia vita che ho fatto fisicamente, in prima persona, e in cui ho riscontrato quello che avevo letto, capendolo veramente. Perché c’è bisogno di questa dialettica, fra vita reale e vita riportata. Non puoi capire veramente cosa scriva Bonatti nei suoi libri, se la montagna di Bonatti non l’hai almeno un po’ sfiorata.

E così per molte altre cose. Ma, mi chiedo, come fa ad esprimersi bene scrivendo uno che non legge? Però anche di questo non sono sicuro. Probabilmente anche la scrittura può essere un dono naturale. Come in tutte le arti, la comunicazione non passa necessariamente attraverso la padronanza tecnica dello strumento.

E lo spessore della persona, la profondità dell’animo, è necessario che si formino sui libri o basta la vita?

C’è un bell’articolo su Repubblica che questa mattina mi ha ispirato questi pensieri:

Anche un libro può valere un viaggio… “Può darsi, io non lo posso sapere perché non leggo, e non mi serve il libro per stare seduto davanti a Notre Dame. Finora è stato così, magari però un giorno scoprirò questo mondo meraviglioso e fantastico che mi sono sempre negato!”. Lo dice con un sorriso. “Ma poi, mica solo i libri possono essere letti. Puoi leggere le persone, un quadro, uno stato d’animo. Per compiere l’azione di leggere, non hai bisogno di un libro. Puoi leggere il cielo, oppure gli spartiti. Io leggo i gesti del direttore d’orchestra e li interpreto. Il gesto è lo strumento che il direttore usa per trasmettere la sua intenzione musicale. Noi dobbiamo suonare anche interpretando il suo gesto, e questo è leggere… “.

Cioè, la lettura è solo uno dei modi attraverso cui può arrivare l’esperienza sensibile. E’ indubbiamente vero. Ma non è uno stato un po’ primitivo questo? in cui si rinuncia ad una miriade di esperienza di altri uomini, in altri luoghi, in altri tempi…

Ma forse è necessario anche questo. E’ una delle strade evolutive della specie. L’individuo che non legge usa il cervello in altro modo ed esplora le strade della conoscenza avendo a disposizione più spazio nel cervello per immagazzinare altro tipo di informazioni e quindi l’elaborazione delle stesse ne risulterà diversa.

Bisognerebbe mappare i cervelli di un accanito lettore e di un non lettore per capire come sono diversi.

E la diversità mi sono reso conto che è ricchezza. Anche se non la capiamo, ha sempre un senso che esista.