Tornando a parlare di montagna

Tre giorni di scalate sul Gran Sasso.  Il programma era questo.
La macchina camperizzata. Materiale alpinistico, corde, sacco a pelo, vestiti per cambiarmi, tenda, meterassini, roba da mangiare. Tutto pronto e ammucchiato vicino la porta di casa, venerdi sera. Appuntamento con amici alle sei.
Poi mi sono svegliato all’una con nausea, senso di febbre, irresistibile attrazione per il water. Al mattino la situazione non era migliorata, quindi rinuncio e resto a letto.
Ma a casa, in un giorno festivo, quando potrei stare in montagna… beh non stavo abbastanza male. Parto lo stesso nel pomeriggio.
Butto dentro tutte le medicine che ho in casa, praticamente solo aspirine e moment –
qualcosa faranno, spero – e parto.
La sera mi aggiro per il piazzale di Prati di Tivo come un fantasma. Ho mal di testa e nausea. Mangio solo riso in bianco e bevo coca cola.
Non mi va di montare la tenda e dormo in macchina, per traverso di dietro con lo sportello aperto, perchè i piedi escono fuori. Dormo pure bene.
Al mattino sto meglio ma di scalare non se ne parla.
Vedo tutte le cordate che si formano, scelgono le vie, preparano il materiale… vado da un gruppo di amici all’altro. Qualcuno lo vedo spesso a Roma, alcuni invece vengono da altre zone d’italia. Con loro ci si vede solo sul Gran Sasso d’estate.
Tutti vanno a scalare e io, come si usa dire con una classica espressione idiomatica a sidney: sto a rosicà.
Me ne vado a camminare. Oggi farò l’escursionista. Più che altro mi fermerò a dormire al sole. Però alla fine della giornata avrò fatto un bel giro e anche 8-900 metri di dislivello. E mi sento meglio.
Il giorno dopo potrei scalare, ma a questo punto non mi va. Mi sveglio prestissimo e decido di andare di nuovo a camminare. L’idea è di salire in cima al Corno Grande, per la via normale, ma dopo la sella dei due corni c’è troppa neve e io ho ai piedi un paio di scarpe leggerissime, da corsa. Alle 10.30 sono di nuovo alla macchina, con un migliaio di metri di dislivello nelle gambe che oggi sento tutti.
Nel ricordo di questa giornata resterà una chiacchierata con un camoscio, di vedetta su uno sperone roccioso. Ho iniziato a fotografarlo da lontano, pensando che da un momento all’altro sarebbe sparito. Poi mi avvicinavo e lui continuava a guardarmi. Allora mi fermavo e lo fotografavo di nuovo. Ad un certo punto ero sotto di lui. Gli ho detto: "beh che fai, non scappi?"  e lui niente. "Vedi di non buttarmi in testa qualche sasso…" Sono passato e lui era ancora lì. Gli ho detto anche qualche altra cosa. Era molto tranquillo e mi guardava incuriosito con l’aria di dire: "ma che ci fai qui?"
Già. Che ci faccio qui? Me lo chiedo anche io.
Questi giorni non avevo feeling con la roccia. E infatti non ho scalato.

3 Risposte a “Tornando a parlare di montagna”

  1. Comunque anche se il feeling con la roccia era andato per conto suo la montagna ti ha regalato lo stesso delle emozioni, diverse dallo scalare ma in compenso il dialogo con il camoscio e ti assicuro che non e’ poco. Buona guarigione.

  2. sono guarito ormai … 🙂 ma il camoscio mi prendeva in giro.domani metto la foto e vedrai che faccia che aveva.

  3. Allora  non stavi scerzando cioe’  della serie che cavolo fai qui? va beh  se non altro aveva il senso dell’umorismo il camoscio… domani guardo la foto

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