weekend

Lunedi. Difficile riprendere il lavoro, con i muscoli doloranti, le mani gonfie, i lividi e i graffi sulle braccia. La testa ancora piena di sole, il corpo che ricorda i movimenti che lo hanno fatto salire con leggerezza ma anche quelli in cui si sentiva pesante, goffo e ingombrante.
Normale lunedì dopo arrampicata.
Amici, scherzi, parole, risate, tentativi di salire, alcuni riusciti, altri meno.
Sono contento di ieri. Ho chiuso un vecchio conto in sospeso, sto scalando bene. Anche se la mia dieta non sta funzionando e peso ancora troppo.
Una via che avevo trovato dura sotto e impossibile sopra, anche da secondo e che ieri mi è sembrata facile e divertente sotto e solo un po’ faticosa sopra.
Come cambiano le percezioni delle difficoltà a seconda di come ti senti in forma.

Difficile spiegare anche, a chi non scala, cosa provi. E’ nel cercare l’equilibrio, nel capire se un’asperità che senti sotto le dita basterà a sorreggerti mentre sposti il peso del corpo da un piede all’altro, salendo. Se la punta del piede che spinge su quella tacchetta piccola scivolerà prima che tu sia riuscito a scaricare il peso. E’ adattarsi alle forme che ti offre la roccia, è nel muovertici sopra, tirando, spingendo, usando il minimo di forza possibile, aderenti alla parete quanto puoi, più che puoi. Non pensare che puoi cadere, ma sono a salire, riposare quando puoi, passare veloce quando stare fermo costa fatica. Respirare. Respirare. Interpretare il linguaggio della roccia. Capire. Capire velocemente. Fare. Agire. Si. Sei passato, sei oltre, sei in un altro punto in cui puoi riposare.
Alla fine la via, quei 15-20 metri che hai salito, sono una sequenza che ricordi, una grafia di movimenti disegnati sulla roccia attorno ad una linea. In qualche modo senti di aver disegnato con il tuo corpo un’effimera piccola opera d’arte. E una grande soddisfazione ti prende. Per così poco.

Siamo andati a Ferentillo. Che è un paesino in Umbria, in val Nerina, qualche chilometro dopo le cascate delle Marmore, andando verso Norcia.
Un sacco di pareti di calcare a due passi dal paese. Parcheggi e scali. Ti stanchi e hai un bel locale rustico per mangiare, bere, riscaldarsi d’inverno.
Ci siamo trovati più o meno casualmente un bel po’ di gente. Alla fine eravamo una decina di persone. E sul posto c’erano già tante persone. Il pienone delle grandi occasioni. Dopo qualche weekend freddo e ventoso si sentiva il bisogno di una giornata veramente di primavera.

Fantastico. Abbiamo già programmato il prossimo fine settimana lungo un posto un poco più distante ma paesaggisticamente ancora più bello. La primavera in umbria è uno spettacolo. Decine di gradazioni di verde e tantissimo rosa, di certi alberi di cui non so il nome ma che in questo periodo sono uno spettacolo.

Se il tempo resterà bello, il prossimo week end a Gavelli, dove ci aspetta questo ambiente:

Intanto, buona settimana a tutti.

2 Risposte a “weekend”

  1. Beata natura, si sente la primavera e l’adrenalina di una vertigine, ma le vette impossibili credo siano costituite dalle pareti mentali di ognuno, quelle rigidità di pensiero che ci portiamo dentro. Vischiose e insidiose! Concordi?

  2. Spesso, molto spesso, l’impossibile è una barriera della nostra mente. In ogni campo. Non voglio affermare che possiamo tutto. Non è così, i limiti esistono. Ma spesso sono molto più lontani di quanto noi crediamo.
    Sai, a livello muscolare, una persona non allenata utilizza solo circa il 35% delle fibre contrattili in uno sforzo che crede sia massimale. Il cervello automaticamente limita il numero delle fibre per una questione di salvaguardia.
    Una persona allenata ad usare la forza arriva al 70-80%
    Solo atleti eccezionali arrivano ad utilizzare contemporaneamente, sinergicamente, al 90-95% le fibre di un muscolo.
    Questo per dire che i meccanismi di protezione sono insiti in noi, a tutti i livelli. Fisici e biologici.
     
    Così come vanno allenati i muscoli, ad andare oltre. Va allenata anche la mente.
    E questo in ogni campo dell’esistenza.
     
     
     

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