Può la pecora essere amica del pastore?

Quanti segnali abbiamo ignorato nel corso di questi ultimi vent’anni, da una società che andava cambiando e che pensavamo fossero “stranezze”, piccole burocrazie che andavano a cambiare abitudini consolidate, mode, storture burocratiche.
Un “sistema” Stato sempre più pervasivo nelle piccole cose, mentre nelle grandi privatizzava a più non posso.

Ne ricordo una, come esempio, quando nelle scuole per un genitore non fu più possibile portare una crostata, un dolce, da condividere con gli altri bambini/figli. Una norma fatta passare come “giusta” perché obbediva a precise logiche sanitarie, ma che appariva ridicola, per molti che erano cresciuti senza queste fisime, e che pure non avevano visto i compagni di classe cadere come mosche sotto i colpi del dolce della nonna.

Ma sempre più bambini risultavano “intolleranti” a qualcosa quindi bisognava che la composizione dei cibi e la filiera fosse tracciabile. Perché nessuno poteva assumersi la responsabilità. Non la maestra, non la direzione della scuola.
E tutti con una legge potevano essere coperti.
Nel dubbio, vieta.

E nelle aziende. Praticamente l’obbligo di certificazione Iso. Ricordo bene le prime riunioni in proposito: la mia obiezione era, perché una procedura dovrebbe migliorare la qualità del mio prodotto? E la risposta: la procedura di per sé non può farlo, ma rende tracciabile il processo e quindi evidenzia il livello in cui è avvenuto l’errore e il modo in cui è stato corretto al fine di migliorare il risultato finale.
Come logica è corretta, certo. Se vuoi migliorare, in un processo complesso con molte responsabilità condivise, devi poter individuare in ogni momento dove si verifica l’errore e l’istinto non basta. Sono i dati che risultano alla fine dell’analisi a darti la risposta.
Ma in realtà mi riusciva difficile accettare che tale processo fosse necessario in piccole imprese dove l’istinto dell’imprenditore teneva sotto controllo tutto “a pelle” e che pure quel marchio fosse necessario per lavorare.
A quale scopo? Non davi nessuna garanzia ulteriore. Però era necessario e senza non potevi partecipare ai bandi di gara.

E le cento, o mille, norme che andavano a incidere su ogni tipo di attività? Una burocrazia indicibile, che potrebbe essere riassunta solo con chi ci ha avuto a che fare, settore per settore, una vera e propria giungla con gli enti preposti al rilascio e al controllo che costituivano una vera e propria barriera. Tale che il vero lavoro, estenuante, non era misurarsi poi con il pubblico, il cliente, quelli a cui offrivi il tuo prodotto, ma riuscire affannosamente a “essere in regola”.

Ci siamo abituati a tutto questo come normale. Abbiamo accettato in nome di cosa? Per le maggiori garanzie collettive.
Eppure era evidente che a scopo precauzionale il sistema non funzionasse affatto. Le truffe continuavano a esistere, le frodi alimentari o altro, più che mai.
La “tutela del consumatore” elevato a mantra, ci restituiva un consumatore sempre più cornuto e mazziato, perché poi i “consumatori” sono sempre i cittadini che sono anche genitori che portano i figli nelle scuole, gestiscono attività commerciali, o vi lavorano.

Un consumatore che non era tutelato e che come cittadino era vessato dalle norme che avrebbero dovuto proteggerlo.

Ma vi siete sentiti più “protetti” da queste norme?
Tempo fa leggevo le mappe delle malattie da inquinamento. Ci sono zone d’italia dove morire di cancro è il 300% più facile che altrove. E sono molte, queste zone.

Mancherà sempre la controprova, ovviamente. Qualcuno potrebbe sempre dirti: figurati se non ci fossero state queste norme restrittive dove saremmo.

Ma la sensazione è che la rete delle norme sia qualcosa che acchiappa e trattiene solo i pesci piccoli. I grossi passano attraverso.
Di solito è il contrario, con le reti vere.
E l’analogia non regge.
Ma regge se pensiamo che siano proprio i pesci grossi a mettere le reti, in modo che i piccoli non possano mai crescere.

E infatti nel mondo abbiamo quella situazione paradossale per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Ho mischiato un po’ di cose che sembrano scollegate, le crostate delle mamme con la Iso9001, la burocrazia e il liberismo globale.

La rete per i pesci piccoli. Proprio così. Abbiamo a livello sovranazionale aziende che dettano le leggi ai governi, che agiscono nel mondo come se i confini stessi degli Stati non esistessero. Ma nello stesso momento quegli stessi Stati, infittiscono la giungla delle regole andando sempre più dentro le vite dei singoli individui.
E sempre di più vogliono sapere tutto delle loro vite, fin ogni minimo particolare, in modo da poterlo “regolare” e la motivazione che adducono è “per il loro bene”, mentre la realtà è per poterli utilizzare al meglio.

Certo, anche il pastore cura le pecore. Le difende dai predatori. Le cura se si ammalano. Le vaccina se sa che c’è un’epidemia.
Ma vi devo spiegare che il pastore non lo fa per amore di altro che del suo portafoglio che si gonfia quando vende la pecora?

Un politico canadese rispondeva in un filmato a un padre che protestava per l’idea di vaccinare i bambini: i vostri figli non sono vostri, sono dello Stato.

Lo Stato, ente impersonale?
Marx e Lenin lo definivano emanazione del dominio di una classe sull’altra.
Oggi potremmo definirlo emanazione di oligarchie globali sul resto dell’umanità.
Stati che ormai perseguono politiche sovranazionali comuni.

I nostri figli, noi stessi, non siamo più liberi. Forse non lo siamo mai stati completamente ma certo, in nessuna epoca storica, globalmente, lo siamo stati meno di oggi.
C’era chi lo era di più chi di meno.
Oggi vale per tutti, perché tutti sono sotto il dominio di un Grande Occhio, di un Grande Fratello, ognuno scelga la distopia che più lo affascina.

Anche i politici che ci governano, non sono liberi. Sono anch’essi pecore, o se preferite consumatori, prodotti, merce.
Sono semplicemente più su nella catena e quindi tengono alla conservazione del loro privilegio. Ma, come noi più in basso, sono liberi di fare solo quello che gli è permesso, pena la perdita di tutto, quello che hanno e quello che sono.
Perché questa è una società in cui sei quello che hai.

Oggi siamo non all’atto conclusivo, ma alla stretta.
Per continuare l’analogia della rete, c’è un momento cui questa si stringe e i pesci si ritrovano tutti ammassati, impossibilitati, pure quelli che non si sono ancora impigliati, anche a tornare indietro dalla spinta di quelli che seguono. Portati, spinti, dal flusso.

Non voglio continuare l’analogia fino a quella della camera della morte, perché non mi piacciono gli esiti melodrammatici.
E anche perché esiste un’ovvia obiezione:
se siamo prodotti, consumatori che producono in quanto consumano, dov’è il vantaggio dei padroni nello sfoltirci?

E’ plausibile un delirio di onnipotenza tale da immaginare un mondo non più lasciato a se stesso, a una crescita caotica e compulsiva fino al crollo inevitabile, ma guidato verso una società autocontrollata nello scopo e nelle direzioni?

Oggi esistono persone al mondo che possono pensare realmente di avere questo potere, questo diritto, questo compito.
Nel mondo, 8 persone possiedono quanto 3,6 miliardi di individui.
Statistica del 2017.
E oggi ho letto da qualche parte ma non lo trovo che meno di 50 persone possiedono la ricchezza del resto degli abitanti del pianeta.

Quindi riassumiamo:
ci troviamo in una società, almeno nei paesi del blocco occidentale che ha vinto la II guerra mondiale e che da allora ha dominato il resto del mondo, in cui da decenni è stata instillata l’idea che più controllo è uguale a più sicurezza. Idea che peraltro era già forte di suo in paesi totalitari, come ex urss e cina.
E abbiamo un pugno di individui in grado di influenzare o meglio, determinare, le politiche nazionali in senso sovranazionale.

I quali individui, e le loro corti, si riuniscono ogni tanto, stilano documenti, e ci fanno gentilmente sapere il loro pensiero. E il loro pensiero è che il mondo così com’è non va. Che siamo troppi. Che sfruttiamo male le risorse e che comunque stanno terminando. Che il fatto stesso di esistere così come ci siamo abituati a concepire la vita comporta un cambiamento dell’ecosistema tale da rendere sempre più difficoltosa la nostra esistenza sul pianeta.

Il problema è che hanno ragione. Siamo troppi e cresciamo a ritmi assolutamente insostenibili. Le società del welfare con questi numeri non sono possibili. In breve non ci sarà cibo per tutti, acqua per tutti, energia per tutti.

La specie umana, se non smette di essere un sistema caotico e non governa le sue direzioni, i suoi scopi; se non regola la sua esistenza nel suo ecosistema in base a criteri di equilibrio, è destinata a collassare su se stessa. E questo avverrebbe attraverso un orribile caos mondiale che non lascerebbe che macerie fumanti.
Sarebbe il crollo della civiltà non solo come la conosciamo, ma come l’hanno conosciuta gli uomini da diecimila anni a questa parte.

Quindi l’uomo deve fare a se stesso, quello che ha fatto in questi millenni al resto della vita su questo pianeta. L’ha “regolata”, a suo uso. Ha sfoltito laddove emergeva troppo prepotentemente. Ha incrementato dove era necessario. Ha spostato. Ha eliminato. Ha migliorato. Ha reso prodotto ogni animale commestibile, ha aumentato i muscoli e la resistenza di quelli da lavoro, ha decimato quelli pericolosi, ha confinato quelli non utili. Li ha REGOLATI.

Ora qualcuno ha deciso che è arrivato il momento di regolarci tutti?
Secondo me è probabile. E è anche facile pensare che chi viene cooptato in questo grande progetto per proiettare la specie umana nel futuro la veda come una cosa nobile e positiva, con ahimé qualche effetto collaterale, inevitabile.

Ma alla base di tutto, non siamo numeri. Siamo individui. E abbiamo la nostra vita, cui siamo attaccati.

Una pecora intelligente può capire le ragioni del padrone. Ma resta pecora e cerca di sopravvivere. Come la mettiamo?