Neuroplasticità e arrampicata

  Il cervello umano è in grado di modificare se stesso.  Il cervello adulto è flessibile. L’esperienza modifica il cervello.  Gli scenziati chiamano questa caratteristica neuroplasticità.

Gli input sensoriali creano mappe cerebrali. Queste sono in  competizione fra loro, secondo il principio o le usi o le perdi. La natura competiva della plasticità ci riguarda tutti. Nel nostro cervello i nervi combattono una guerra senza fine. Se smettiamo di esercitare le nostre facoltà mentali non le perdiamo e basta: la parte di mappa cerebrale per quelle funzioni viene affidata ad altre che invece continuiamo a svolgere. Per contro, è possibile imparare cose completamente nuove in ogni momento della nostra vita.

Quando dico “imparare” non intendo una funzione nozionistica in cui inseriamo dati nel contenitore che consideriamo sia il nostro cervello. Intendo input sensoriali, ovvero anche informazioni legate a tatto, udito, gusto, olfatto… input propriocettivi e sviluppare le qualità mentali in grado di elaborare questi dati in modo sempre più raffinato nonché integrarli.

I cervelli di ognuno di noi sono simili, a livello di mappe corticali, perché le nostre esperienze sensoriali sono sostanzialmente simili, ma diversi, anche profondamente diversi, in caso di esperienze sensoriali diverse.

In pratica il cervello non si comporta dissimilmente da un muscolo. Se lo eserciti diventa sempre più adeguato allo scopo per cui lo eserciti. Se non lo eserciti si atrofizza. Solo che il cervello è un muscolo multipotente, ovvero può assumere diverse funzionalità. Se non eserciti la tale funzionalità, quella zona viene utilizzata per altre. Non si butta niente.

Nella fattispecie dell’arrampicata, ma il discorso vale ovviamente per qualsiasi attività necessiti l’attivazione di raffinati schemi motori e programmazione spazio temporali di movimenti, è quindi possibile sviluppare aree del cervello altamente specializzate, vicine nella mappa cerebrale, in modo che i segnali non debbano percorrere lunghi percorsi nel cervello.

Infatti le disposizioni topografiche delle mappe cerebrali emergono poiché molte delle nostre attività quotidiane implicano delle sequenze ripetute secondo un ordine fisso.

Quando raccogliamo un oggetto delle dimensioni di una mela o di una palla da tennis, normalmente prima lo afferriamo con il pollice e l’indice, quindi lo avvolgiamo progressivamente con le altre dita. Dal momento in cui pollice e indice toccano l’oggetto quasi sempre insieme, inviando simultaneamente al cervello i rispettivi segnali, le mappe cerebrali del pollice e dell’indice tendono a formarsi insieme. Avvolgendo l’oggetto con le altre dita, sarà il medio a toccarlo subito dopo, così la rispettiva mappa cerebrale tenderà a formarsi accanto a quella dell’indice e un po’ più lontano da quella del pollice. Ripetendo questa sequenza  – pollice, indice, medio – migliaia di volte, la mappa del pollice si troverà accanto a quella dell’indice, che sarà a sua volta accanto a quella del medio, e così via. Molte mappe cerebrali, se non tutte, lavorano raggruppando spazialmente eventi che si verificano simultaneamente.

Ora pensate a riportare questa sequenza, derivante dal semplice prendere una mela, in quelli che sono degli schemi motori complessi, come quelli di un giocoliere, di un ginnasta, di un musicista, o di un… arrampicatore.

Quello che vi sto dicendo, è che non solo il corpo, le dita, le mani, i muscoli, i tendini devono essere costruiti, per svolgere una determinata attività, ma anche le mappe cerebrali corrispondenti.

Forse a pensarci bene non è strano. Lo abbiamo sempre saputo. Quando diciamo che il corpo impara, non sappiamo bene di cosa stiamo parlando, ma sappiamo che è vero. Ecco, vi sto dicendo quello che avviene nel nostro cervello.

In questo processo, più le mappe diventano grandi, più i singoli neuroni funzionano meglio. Man mano che un’attività motoria sviluppa un’area cerebrale, la mappa tende a crescere, ma poi i singoli neuroni della mappa diventano più efficenti e sono necessari meno neuroni per svolgere il medesimo compito.

Quando un bambino inizia ad esercitarsi al pianoforte, tende ad utilizzare tutta la parte superiore del corpo – polso, braccio, spalla – per suonare ogni singola nota. Persino i muscoli del volto si tendono in una smorfia. Attraverso l’esercizio il pianista in erba smette di utilizzare i muscoli che non servono allo scopo e ben presto impara ad usare solo il dito giusto per suonare la nota, sviluppando così un tocco più leggero. Se diventarà “bravo” saprà suonare con “grazia” e “in modo rilassato”. Il bambino non userà più moltissimi neuroni come all’inizio, ma pochi e appropriati per quel compito. Questo uso sapiente dei neuroni si verifica quando padroneggiamo una certa abilità e spiega perché lo spazio a disposizione per le mappe non si esaurisce rapidamente man mano che si esercitano nuove attività.

Con l’esercizio i singoli neuroni diventano anche più selettivi. Inoltre, diventano anche più efficenti, possono elaborare i dati più rapidamente.  Ovvero: anche la velocità del nostro pensiero è plastica.

Pensate ai micro spostamenti necessari a mantenere l’equilibrio su una placca, oppure ai molti aggiustamenti occorrenti per porre il corpo nella posizione ottimale su uno strapiombo, utilizzando la giusta quantità di forza, né troppa, né troppo poca, applicando schemi motori complessi con naturalezza e rapidamente.

Vi sto dicendo che si impara ad arrampicare arrampicando. E anche questa è più o meno la scoperta dell’acqua calda. Forse c’è differenza nel sapere tutto il meccanismo che azioniamo quando premiamo il pedale del freno della nostra auto  –  circuiti olio idraulico, sensori abs, centralina che controlla lo slittamento, pastiglie, dischi – ma in fondo quello che vogliamo sapere è solo che quando premiamo il pedale la macchina freni.  E tutto ciò a molti sembrerà poco interessante. Ma non è finita.

Gli scenziati hanno scoperto che l’attenzione è essenziale per ottenere cambiamenti neuroplastici a lungo termine. In numerosi esperimenti si è provato che i cambiamenti duraturi avvengono solo quando i soggetti sono molto concentrati. Quando svolgono i loro compiti in modo automatico, senza porvi attenzione, le mappe cerebrali si modificano ma con risultati a breve termine.

Questo concetto, riportato nell’attività che ci interessa, significa che occorre essere motivati. La motivazione ci pone in uno stato di attenzione e si liberano sostanze, dopamina e acetilcolina, che contribuiscono a consolidare i cambiamenti avvenuti nelle mappe.

Una buona motivazione che richiama attenzione può essere quella positiva, di ottenere qualcosa, un premio ad esempio, o anche quella non negativa, di non farsi male cadendo.  Ovviamente il concetto di premi è elastico. Anche far a gara con i propri amici e batterli può essere considerato un premio. Anche farsi bello agli occhi di una donna (o di un uomo), può esserlo. Anche il dover ricordare una lunga complessa sequenza, necessita attenzione (lavorare una via).
Non sto dicendo che bisogna essere competitivi. Sto dicendo che bisogna essere fortemente  concentrati in quello che stiamo facendo per ottenere dei risultati a lungo termine.  E che l’esercizio di schemi motori complessi porta alla formazione di mappe cerebrali sempre più efficenti.

L’esercizio di visualizzazione rinforza i circuiti neuronali. Immaginare di arrampicare una via, concentrati sui movimenti che facciamo, immaginare di stringere la presa, di lanciare, tenere la tacca, spingere con i piedi e con i muscoli addominali… tutto ciò rinforza le mappe cerebrali e, anche, muscoli e tendini che dovranno fisicamente compiere quei movimenti.

Studi condotti hanno dimostrato che il solo esercizio di visualizzazione, comparato con l’identico esercizio fisico, porta il primo ad un miglioramento del 22%  e il secondo del 30% (ovviamente dedicando per un tot di giorni il medesimo tempo di allenamento al giorno), quel’8% è immediatamente colmato non appena si passa dal mero esercizio di visualizzazione a quello fisico.

Il corpo fisico è una proiezione del cervello. Ogni movimento che si compie, l’intensità della forza usata, lo stesso stimolo doloroso che percepiamo è prima di tutto elaborato dal cervello.

Il cervello non è un terminale e nemmeno un centro di coordinazione degli input sensoriali provenienti dal corpo. E’ il corpo, anzi, l’immagine del corpo che abbiamo nel cervello, che è un’estensione del cervello.

Insomma, gli scenziati del cervello ci dicono che possiamo migliorare nell’arrampicata se arrampichiamo molto, attuando schemi motori complessi e migliorandone l’attuazione, restando molto concentrati su quello che facciamo, memorizzando schemi motori e visualizzandoli, immaginando di essere in grado di fare anche oltre quelli che riteniamo siano i nostri limiti.

Se arrampichiamo rilassati, pensando magari ad altro, non mettendoci nella condizione di essere concentrati e attenti su quello che stiamo facendo, possiamo dimenticarci di migliorare i nostri schemi motori – e quindi il nostro livello –  anche dopo anni e anni di pratica, anche allenando duramente i nostri muscoli e i nostri tendini.  I centri di comando e controllo della nostra attività motoria – e quindi la velocità di esecuzione, l’efficienza energetica dei nostri movimenti – non si alleneranno e quindi non miglioreremo.

Può essere una scelta, certo, ma non sorprendiamoci vedendo altri che in poco tempo diventano più bravi di noi. Non mettiamo scuse tipo predisposizione genetica o altro, rimanendo comunque dentro di noi la domanda: perché dopo anni sto sempre lì?

Perché la vostra motivazione non mette il cervello nelle condizioni di diventare il cervello di un arrampicatore forte.

citazioni tratte da Norman Doidge, in The Brain that Changes Itself

3 Risposte a “Neuroplasticità e arrampicata”

  1. Gran bel testo! Mi ha ricordato quanto Wallace ha scritto sul tennis in un paio di libri. e direi che spiega candidamente perchè mai ragazzi con una forza spropositata fatichino, su roccia, ad esprimersi persino al 10% delle loro potenzialità. Ho sempre pensato che sia impossibile cadere sotto un 8a quando fai certe cose su un trave, ma in realtà quello che hai esplicitato rende il tutto comprensibile.

  2. Complimenti per la spiegazione concisa, pratica ed accessibile…dimostri di aver compreso intimamente e a fondo le basi della neuroplasticità. È un argomento poco sottolineato quando si parla al “popolo”delle funzioni cerebrali,invece dovrebbe essere la base elementare..sono sicuro che in termini simili a quelli esposti da te potrebbe imparare anche un bambino a sviluppare nella maniera migliore le proprie capacità..dandosi autonomamente anche una spiegazione alla necessità di essere concentrati,attenti e magari anche una spiegazione alle “punizioni” o i “premi” elargiti a seconda del proprio comportamento…tutti atti a “programmare” il sistema “psiche-soma” nella maniera che è più congeniale…credo che questo sia tra gli argomenti che interessano indifferentemente ogni essere umano (e di più..ogni essere vivente!)
    Si, è fondamentalmente un uovo di Colombo (o acqua calda come la chiami tu..),in fondo la saggezza antica da sempre ci dice “Mente sana in corpo sano”oppure”Uomo conosci te stesso”e dirò di più anche nel misticismo e nei metodi ascetici,frasi come “ciò che è sopra è come ciò che è sotto” o “come in cielo così in terra..”…tutto riporta all’idea che il creatore ed il creato,che i concetti di mente (psyche/anima) e corpo sono divisi solo dal punto di vista che si decide di adottare..ma essi proseguono per vie parallele la propria evoluzione temporale…e sarebbe infruttuoso considerarli separatamente se il fine è quello di esercitare almeno uno dei due…beh ho parlato anche troppo per uno che non ci capisce niente a riguardo..ma il tuo scritto mi ha ispirato.
    Un saluto
    Paolo “NeuroDiver”
    P.s. Il libro dal quale prendi spunto,sai per caso se esiste in italiano? Grazie dell’eventuale risposta…

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